Immergersi e far conoscere nella maniera più veritiera possibile, tribù che stanno scomparendo, rimaste fedeli per millenni alla loro cultura, tra riti iniziatici, anche violenti, stile di vita, alimentazione e rapporto con la natura, «prima che diventino 'pezzi' da museo, o attrazioni in un parco dove paghi il biglietto per sapere com'erano». E’ l’obiettivo, spiega Raz Degan, alla base di Raz the tribe, docuserie in 4 episodi (l'ultima riassume le prime tre), in onda su Sky Atlantic Hd da domani alle 23,15. L’attore e regista, accompagnato da un amico e compagno di viaggio per ogni puntata, entra nel mondo degli Hamar in Etiopia insieme a Asia Argento; dei Mentawai a Sumatra con Piero Pelù e dei Dani in Papua Occidentale con Luca Argentero.
Degan torna così su Sky Atlantic dopo il successo l’anno scorso del suo primo documentario da regista (della docuserie invece è ideatore del progetto), L’ultimo sciamano. Le tribù di Raz the tribe, «le conoscevo da tempo, mi avevano affascinato per motivi sociali, ambientali e culturali - sottolinea -. Con i compagni di viaggio non siamo stati lì a giudicare ma a cercare di vivere con loro in quel contesto. Volevamo suscitare domande in chi guarda».
La prima puntata in Etiopia, tra gli Hamar dove le donne ancora, durante un rito iniziatico, offrono la schiena a frustate in segno di devozione, «mi permette di dare voce a queste donne che non ce l’hanno, come molte di quelle che vedono calpestati ancora oggi, ogni giorno, nel mondo i loro diritti umani e sociali. Per questo ho scelto come compagna di viaggio Asia, che lotta su questi temi». Per lei, «che si è ritrovata in questi mesi, proprio per il suo impegno nell’occhio del ciclone, penso sia stata un’esperienza importante, l’ha fatta riflettere, le ha dato forza. Tra gli Hamar ha reagito con grande coraggio, vivendo e confrontandosi con loro».
Nella seconda puntata, tra i Mentawai di Sumatra, «ho pensato a Piero Pelù, perché è un musicista e ama molto i tatuaggi, due elementi fondamentali anche nella vita di una tribù che incarna l'anima della giungla dove vive, in completa armonia con la natura». Un ambiente «sempre più in pericolo, l’industria e la globalizzazione avanzano, ci sono sempre meno alberi e meno animali. Oggi questi popoli che hanno tanto da offrire lottano per la propria sopravvivenza».
Nella terza puntata, Degan con Argentero va in Papua occidentale, «tra i Dani in una società che ti porta indietro nel tempo». Sono guerrieri e cacciatori che non usano vestiti e gli uomini coprono i genitali con l’holim, un astuccio ricavato dalla zucca che rappresenta la forza vitale. «Il mondo - dice Degan - non li ha ancora veramente raggiunti e quando succederà la loro tradizione probabilmente scomparirà. Anche perché in Indonesia, dove c'è la varietà più ampia di etnie, oltre 300, per andare a scuola e usufruire dei servizi sociali c'è l'obbligo di scegliere una delle cinque religioni principali». Con Argentero «ci siamo trovati con persone che vivono come milioni di anni fa». I due però pur condividendo le esperienze della tribù, sono rimasti con i vestiti addosso: «Sarebbe stato fuori contesto toglierceli, visto che rimanevamo poco con loro».
Per Degan, «La vita è il viaggio» e anche l’esperienza all’Isola dei famosi, che ha vinto nel 2017, accettata anche per finanziare gli altri suoi progetti, «l'ho vissuta da 'sopravvissuto'. Inoltre ha permesso al pubblico «di andare oltre la mia immagine legata all’entertainment, di conoscere i valori con cui vivo». L’attore e regista spera si possa realizzare «una seconda stagione di Raz & the tribe» e lavora a un docufilm tratto dalla prima. Inoltre sta scrivendo la sceneggiatura per una serie televisiva tratta da L’ultimo sciamano e ha in cantiere un nuovo documentario: «Lo giro dal 2013, si intitola The lost Sadhu e parla di hippie trail (il percorso intrapreso da molti hippie negli anni '60 e 70, dall’Europa all’Asia, ndr), illuminazione e Nirvana».
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