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"La mafia uccide solo d'estate" serie tv, Pif: così prendo in giro la mafia

ROMA. «Sono eccitato, mi sento come un partigiano, che lotta per la libertà, ognuno può fare quotidianamente qualcosa per contrastare la mafia. Qui non c'è il cattivo e il buono, qui vomitiamo il male del Paese».

Ispirato al film di Pierfrancesco Diliberto (Pif), 'La mafia uccide solo d'estate' porta in tv, su Raiuno in sei prime serate da lunedì 21 novembre, la storia di una famiglia normale nella Palermo 'caldà della fine degli anni '70. Un racconto che, mescolando tragedia e commedia, scava nel nostro passato più inquietante per parlarci del nostro presente. Una serie che, così come il film, dissacra i boss e restituisce l'umanità dei grandi eroi dell'antimafia. Un sorriso ironico e mai banale
sugli anni terribili degli omicidi eccellenti. Una coproduzione Rai Fiction - Wildside prodotta da Mario Gianani e Lorenzo Mieli.

Pif, durante la presentazione della serie, ha ringraziato il regista Luca Ribuoli (L'Allieva) e il cast: tra questi Claudio Gioè (Lorenzo, il papà del piccolo Salvatore, un uomo pieno di dubbi con forte senso morale che cerca di sopravvivere in una città dove prevalgono i codici mafiosi), Anna Foglietta (nel ruolo di sua moglie Pia), Francesco Scianna (il cognato e zio di Salvatore), Nino Frassica (frà Giacinto, padre spirituale della famiglia che nasconde un segreto).

«Sono contento che il film sia diventato una serie - ha aggiunto Pif - ora anche i mafiosi potranno vedere da casa un racconto che li smitizza e li prende in giro. I mafiosi non hanno certo il senso dell'umorismo».

«Io me li ricordo quegli anni a Palermo. Non c'era l'acqua - ha raccontato Pif - andavamo a una festa e se pioveva dovevamo correre a casa per accendere il 'motorino dell'acqua'. In questa serie Boris Giuliano lo incontriamo al bar ed è in un bar che è stato ucciso da Bagarella mentre stava pagando un caffè».

Il soggetto di serie è di Michele Astori, Stefano Bises, Pif e Michele Pellegrini. Serie e film sono legati da un doppio filo, un legame rinsaldato da Pierfrancesco Diliberto, ispiratore e voce narrante della serie. È lui dunque a raccontare le vicende dei protagonisti: i Giammarresi sono una famiglia normale, alle prese con problemi di lavoro, sentimentali, economici. Problemi solo apparentemente ordinari, se di mezzo c'è Cosa Nostra. Siamo nel 1979, anno che sancisce l'inizio della stagione dei delitti eccellenti, Cosa Nostra alza il tiro e colpisce uomini delle istituzioni come Boris Giuliano (Nicola Rignanese). Il merito principale, però, Pif lo
attribuisce a Peppino Impastato:

«È grazie a lui se oggi si può prendere in giro la mafia senza che ti succeda niente. Paolo Borsellino e Giovanni Falcone sono dei miti, ma questo non deve essere un alibi per non fare niente. Potenzialmente tutti possiamo essere Borsellino nella nostra vita. E questo non riguarda solo i siciliani, la mafia non è più un problema solo del Sud».

Plauso sulla serie da parte di Pietro Grasso, presidente del Senato, che ha ricordato anche che è ritornato per la prima volta al cinema nel 2013 dopo 24 anni proprio grazie a Pif quando il suo film uscì in sala.

«Una sera, al tempo del maxi processo a Cosa Nostra a Palermo dove ero pm e giravo con la scorta, sono andato con mia moglie al cinema e appena seduti ho sentito uno che alla donna, presumo la moglie, che era con lui diceva 'sai chi è quello? Meglio che ci sediamo lontano, non si sa mai...'. In quel momento - ha continuato il presidente del Senato - mi sono sentito una mina vagante».

Per poi aggiungere: «Qualcosa abbiamo sbagliato nella comunicazione, se una volta
nelle tasche di un ragazzino di 17 anni specializzato nelle rapine nei parchi a Milano ho trovato un ritratto del Capo dei capi. Attenzione, la mafia è una realtà, non va mitizzata», ha aggiunto, l'ex magistrato. «La serie ispirata al film è molto dentro il servizio pubblico» ha puntualizzato il dg Rai, Antonio Campo Dall'Orto.

«La mafia è un tema delicato perchè riguarda ferite che sono ancora aperte nel nostro Paese. La sfida che ci ha dato Pif è quella di portare in tv quello che lui ha portato al cinema», ha detto il dg.

«Un racconto fatto con una volontà di leggerezza che rende il compito ancora più complicato e arduo, soprattutto in un mondo, come quello attuale, che non ci sta portando verso la leggerezza».

Tinny Andreatta, direttore di Rai Fiction, ha aggiunto:

«Raccontiamo persone che hanno combattuto al mafia, anche gli eroi piccoli che magari noi non ricordiamo e che hanno combattuto quotidianamente la loro battaglia».

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