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Tra rap e neomelodico, la musica di Gomorra in un documentario

Fonte Ansa

MILANO. La musica di 'Gomorra - La serie' come specchio di un'altra Napoli, lontana dai clichè e aderente alla realtà: così il documentario 'Gomorrah Sound' diretto da Beppe Tufarulo, disponibile su Red Bull Tv (prima produzione italiana a finire sulla piattaforma video di Red Bull) percorre le location dell'acclamata serie Sky e incontra i suoi protagonisti musicali in un racconto che da 'O Sole Mio' si dipana fino al rap scelto come colonna sonora.

A parlarne oggi a Milano, ospite di un incontro social da Twitter, c'era un protagonista come Salvatore Esposito alias Genny Savastano, che ai primi di novembre inizierà le sue riprese per la terza stagione e debutterà come scrittore con l'autobiografia 'Non volevo diventare un boss':

«Spero possa essere d'aiuto per i tanti ragazzi italiani di periferia che vedono tutto nero e non credono più nei sogni, sono state le richieste di molti sui social a convincermi a scriverlo».

Un simile percorso dalla periferia campana alle platee mondiali è quello a cui il rap napoletano aspira grazie al successo globale di 'Gomorra':

«Un rapper come Enzo Dong parlando della sua Scampia fa quello che già Eminem fece per la sua Detroit: per molti ragazzi il rap può essere un modo per guardare oltre la periferia». E come illustra il documentario il percorso del rap partenopeo sa anche incrociare fenomeni mainstream come i neomelodici: «La canzone 'A storia e Maria' di Ivan Granatino e Franco Ricciardi che apre la prima stagione dimostra da subito che i due mondi si possono sposare: Napoli vive un'anarchia di fondo, si segue il ritmo ma non le regole, e questo non è detto che non sia un bene, almeno per l'arte. Ma con De Magistris la città è cambiata molto, noto con piacere».

A professare libertà artistica in nome della tradizione sincretistica napoletana è Lucariello, al secolo Luca Caiazzo, che già nel 2008 aveva collaborato con Roberto Saviano per la canzone 'Cappotto di legno' e ora è una delle voci musicali della serie e della sua città:

«Venendo dall'ultima fase delle posse ero abituato a rappare le mie opinioni - spiega il rapper - Ma poi ho capito che ognuno deve farsi le proprie idee e piuttosto serviva raccontare la realtà per com'era: per questo il rap napoletano è l'unico vero gangsta rap italiano». Un approccio realistico e crudo seguito dalla stessa serie:

«Ricordo ancora il primo incontro con Stefano Sollima, anni prima delle riprese quando il progetto della serie era già avviato: sapendo della collaborazione con Roberto mi chiese un consiglio per la musica, e gli dissi di non fare l'errore di Matteo Garrone che nel film aveva filologicamente usato solo canzoni neomelodiche, popolari negli anni descritti, ma di provare con il rap che raccontava Napoli con quel registro reale e internazionale che lui cercava».

Un consiglio colto da Sollima, che ha chiesto al rapper e a Ntò di comporre per la serie la sigla finale 'Nuje vulimme 'na speranza'.

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