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Congiure, editti e antiche mappe: gioielli di carta per raccontare Palermo

PALERMO. Nel maggio del 1392 Martino il Giovane, re di Sicilia, concede il perdono ad Andrea Chiaramonte, uno dei baroni del novello regno di Sicilia che - insieme agli Alagona - si era permesso di opporsi al nuovo arrivato il quale, grazie ad una congiura, aveva sposato Maria di Sicilia, figlia di Federico II il Semplice ed erede del regno. I signori siciliani mal accolsero il nuovo re, ma chinarono la testa siglando il giuramento di Castronovo. Tutti, tranne i Chiaramonte, e gli Alagona a Catania, costretti a fuggire dopo aver tentato di opporsi all' avanzata dell' esercito catalano di Bernat Cabrera. Re Martino ufficialmente perdonò Andrea Chiaramonte; ufficialmente, perché appena il nobiluomo mise piede in Sicilia, venne incarcerato, processato per direttissima e condannato alla decapitazione: la sua testa cadrà il primo giugno 1392 e l' ultimo sfregio fu il palco elevato dinanzi al suo hosterium magnum, lo Steri. Con la morte di Andrea, la famiglia Chiaramonte si estinse: i beni furono confiscati e divisi fra Guglielmo Raimondo Moncada e il Cabrera.
All' Archivio storico comunale si conserva però quella che oggi potremmo chiamare una «prova documentaria» della congiura contro Andrea Chiaramonte: uno scritto, con tanto di sigillo autentico in legno e ceralacca, di Martino il Giovane che concedeva il perdono al nobile siciliano e lo invitava a tornare a casa. È in assoluto il documento più antico tra quelli esposti nella mostra documentaria costruita dalla struttura comunale per la prima delle «Domeniche di carta», promosse dal Ministero dei Beni culturali: un' intera giornata in cui l' archivio ha mostrato alcuni dei documenti più antichi. Una giornata piena di gente, visto che in un unico luogo sisono uniti i partecipanti a due dei festival in corso - le Vie dei Tesori e il festival delle Culture migranti - che entravano ed uscivano da siti e strutture del centro storico.
Curiosità, certo, di turisti e palermitani che si indicavano le bacheche e ascoltavano le spiegazioni di chi vive tra libri, documenti, fotografie, stampe, disegni: un' appassionata come Beatrice Buccheri, per esempio, che indica i manoscritti più interessanti. Gli esemplari esposti erano tutti originali tratti dal fondo manoscritti e di incisioni che raccontano una Palermo antica, multiculturale e multietnica; una città raccolta dentro le mura, contornata dai fiumi che sboccavano amare. E dalle stampe - conservate nella biblioteca interna all' Istituto - si scopre l' antica pianta seicentesca. In mostra, otto pergamene- del XIV e XV secolo- selezionate dal nucleo di circa settanta documenti del fondo del «Tabulario», che conserva i privilegi cittadini superstiti, alcuni dei quali recano ancora il sigillo pendente regio in cera rossa. Tra i pezzi esposti, una pergamena del 1427 di re Alfonso Vil Magnanimo, re di Aragona e Sicilia e una seconda del 1435 che ordina di distinguere e separare i macelli cristiani ed ebrei (contraddistinti da un panno rosso): non siamo ancora alla cacciata degli ebrei voluta da Isabella di Castiglia, ma ci avviciniamo. L' editto è anch' esso esposto in una teca, in spagnolo e in latino volga re, la gente lo addita: è un simbolo forte della persecuzione religiosa, certo, ma è anche un esempio di un potere forte che guardava agli ebrei come ad una casta privilegiata e ricca. Non dimentichiamo infatti che erano loro a detenere il potere economico, battevano cassa, aveva in mano il traffico dell' olio e del vino, andavano per mare. Quando l' editto spagnolo li bandì dal regno, i notabili siciliani si opposero, prevedendo quale sarebbe stato il collasso economico della città. Poco ottennero, le famiglie ebree furono costrette a partire nell' arco di tre mesi, masculi et fimini, grandi et pichuli, oppure ad abiurare consegnando i beni. Cosa questa ben più importante dell' abiura, non dimentichiamo che Isabella di Castiglia fu colei che finanziò la partenza di Colombo per le Americhe e la costruzione delle famose tre caravelle.
Andiamo avanti tra le teche: Beatrice Buccheri mostra e spiega alcune cinquecentine e secentine, tra cui un libro di matematica e aritmetica particolarmente interessante perché conserva ai bordi alcune notazioni scritte a mano e disegni geometrici secondo la cosiddetta Scala Grimaldelli di Francesco Feliciano Veronese (1526); e un altro tomo su «Le isole più famose del mondo» descritte da Thomaso Porcacchi dove si legge: La Sicilia è isola del mar mediterraneo, posta tra l' Italia e l' Africa: ma fra mezo giorno & ponente è separata dall' Italia da un stretto di mare. è formata a similitudine d' un (disegno=triangolo) greco...
Esposti numerosi altri privilegi e scritti, una documentazione particolarmente preziosa, poiché gli antichi diplomi contenenti privilegi e prerogative concessi alla città dai diversi sovrani - angioini, aragonesi - raccontano una Palermo che difendeva le sue tradizioni e consuetudini contro il potere centrale: nel 1330 furono custoditi in un'«arca» chiusa con quattro chiavi (come testimonia un documento dell' aragonese Federico III), poi sistemati, come scrive Fedele Pollaci Nuccio, primo direttore dell' Archivio, «nella nicchia e nella cassetta sotto la statua dell' Immacolata, nella sala dei congressi senatorii» (l' odierna sala consiliare del Palazzo di Città).
Qui rimasero fino alla rivolta popolare del «sette e mezzo» nel 1866, quando vennero dati alle fiamme sulla pubblica piazza, come simboli tangibili del potere nobiliare. I 72 diplomi sopravvissuti alla distruzione furono consegnati all' Archivio per essere conservati in perpetuo. Sono questi a raccontare pubblica moralità, corruzione del clero, rapporti con la comunità ebraica, «ma ramme» (costruzioni) di edifici, imposizione ed esazione di gabelle, trattative di pace, concessioni di benefici.
Tra i pezzi più belli, il racconto e le indicazioni alla folla per l' arrivo di re borbone Vittorio Amedeo, duca di Savoia e di Anna d' Orleans: una cartina spiegata amo' di «leporello» disegna la Palermo della Cala che guarda Porta Felice. La cinta muraria che chiude il centro fino all' odierna via Lincoln - non c' era ancora Villa Giulia né l' Orto Botanico che sarebbero nati tra fine Settecento e inizio Ottocento - si affaccia sul mare popolato da barche. I palazzi nobiliari di via Butera si stagliano sulla riva, la accompagnano fino alla Porta e alla passeggiata (poi, delle Cattive) che guarda ad uno dei famosi archi trionfali eretti per accogliere i sovrani.

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