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I sette siti Unesco in Sicilia, Puglisi: “Bene ma poco fruibili…”

PALERMO. Sette numero perfetto: tanti sono ormai i siti Unesco in Sicilia senza contare i tre di beni immateriali, ossia la coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria, la dieta mediterranea e l' Opra dei Pupi. Ultimo in ordine di tempo, fresco di nomina, l'itinerario della Palermo arabo normanna, poi l'Etna dal 2013, Siracusa e Pantalica dal 2005, le città tardo barocche dal 2002, le Eolie dal 2000, la Valle dei Templi e la Villa Romana del Casale nel 1997: la Sicilia è la regione italiana con più siti vincolati dall'Unesco - e questo lo sanno anche i bambini - ma è il contorno che lascia a desiderare.
«I sette siti siciliani sono unici e, ad analizzarli nello specifico, sembra che godano tutti di buona salute. Ma il contorno non è sufficiente - spiega Gianni Puglisi, presidente della Commissione nazionale italiana per l' Unesco -. Prendete le Eolie: per anni si è discusso sul riconoscimento Unesco, hanno corso il rischio di non averlo mai, perché condizionato alla chiusura della cava di pomice e alla trasformazione dell'area di produzione in un museo di impresa. Questo non è mai successo ma la cava è stata chiusa e il riconoscimento assegnato. Ma giungere alle Eolie, muoversi, restare qualche giorno, quello è un problema».

Sono giunte lamentele sulla gestione dei siti?
«Le lamentele giungono sempre. Io ricevo spesso segnalazioni di violazioni presunte, manipolazioni fatte ad arte di abusi commessi, ma di solito, dopo un controllo, non risulta nulla di tremendo. Detto questo mediamente i siti siciliani - come d' altro canto quasi tutti i siti italiani - non sono conservati male».
Il problema dunque sta altrove...
«Sta nella fruibilità, nel contesto. Prendiamo Piazza Armerina e la non lontana Morgantina che, pur non rientrando nei siti Unesco, brilla di luce riflessa: se un turista arriva lì, non deve pagare un biglietto ma essere premiato».

Perché ha scavalcato montagne, dribblato burocrazia e lungaggini, preso autobus e percorso trazzere? Oppure semplicemente perché ha «indovinato» gli orari di apertura?
«Manca tutto quello che è infrastruttura della mobilità: arrivare nei siti siciliani, è un terno al lotto. Prendiamo le sedici cittadine barocche del Val di Noto: ogni centro è un patrimonio Unesco, ma insieme sono un pasticcio, poca visibilità e pochissimi servizi. Non vorrei dire disastrose, perché sono bellissime e il turista che arriva resta abbagliato; ma non adeguate, questo sì».
Chiuso il capitolo viabilità e trasporti si apre quello sull'accoglienza.
«Ricordate il detto, "acchiappa il turco, ed è tuo"? bene, spesso, non sembra che la cultura dell' accoglienza sia delle migliori perché è votata al turista mordi e fuggi. Arriva il visitatore, lo tratti come meglio puoi, lo sfrutti quel tanto che ti basta, lui se ne va e arrivederci. Domani è un altro giorno, con altri turisti, altri pullman, altri arrivi. Ma se un malcapitato volesse fare il gi ro completo dei sette siti, e magari aggiungere anche i tre beni immateriali, avrebbe un bel daffare per organizzare il tour; le politiche degli uni e degli altri non sono mai coordinate su un progetto comune».
Ma il riconoscimento Unesco non investe solo la bellezza del sito.
«Quando l' Unesco sceglie un sito, lo segnala come fruibile sia al milionario che al saccopelista. Il viaggiatore delle navi da crociera viene portato a domicilio con i pullman e un servizio tutto compreso; ma il saccopelista che viene dalla Nuova Zelanda e vuole vedere la Cappella Palatina, deve fare i salti mortali. E non parliamo di Pantalica o della coltivazione ad alberello della vita di Pantelleria. L' Unesco pretende dagli amministratori dei territori, un piano di gestione preciso ma spesso resta sulla carta. È un problema di responsabilità politica, competenza amministrativa e attenzione morale».
Con la Regione a sovrintendere su tutto.
«La Regione Siciliana, in quanto sistema amministrativo, non è adeguata a una valorizzazione di stampo internazionale dei propri patrimoni. E ricordare che i siti adeguatamente serviti, diventerebbero la più grande fonte di ricchezza della Sicilia, è lapalissiano. Poi c' è il discorso della carenza di sensibilità diffusa, ma qui si apre un discorso lunghissimo».
Facciamolo. Il siciliano non ama i suoi beni?
«L' uomo della strada da un lato è orgoglioso di essere riconosciuto come patrimonio Unesco e si gonfia il petto; dall' altro, appena si tocca la sua vite quotidiana, i bisogni, il posteggio, il traffico, dimentica l' Unesco e la fa passare in terza fila. Prendiamo Palermo: devo riconoscere al Comune di avere messo in atto azioni responsabili, ma il problema è nella pluralità di soggetti che insistono sulle decisioni: Comune, assessorati regionali, curia. Sono tre soggetti che si parlano poco - vantaggio neanche agli zoppi...- per i quali la gestione degli introiti è più importante dei servizi. Se continuiamo a fare parcheggi di fronte alle chiese, diventa tutto molto difficile. Spero che l' azione promossa dal sindaco di Catania con la nascita dell' associazione dei siti Unesco della Sicilia, possa diventare una struttura di intermediazione tra soggetti ed esigenze. Ma l' egoismo politico amministrativo è sempre enorme».
Altro problema, la formazione di guide specialistiche.
«La cooperativa di don Ciccio non può fare formazione sui siti, ci vogliono le guide specializzate. Formazione, turismo, trasporti, infrastrutture: devono diventare politiche di governo».

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