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I "Promessi Sposi" di Michele Guardì

L'opera sarà portata al Politeama di Palermo dal 7 all'11 dicembre, poi al Metropolitan di Catania dal 13 al 18 dicembre per chiudere in bellezza, compreso gran cenone di San Silvestro, dal 26 al 31 dicembre al Palaforum Bellavia di Agrigento

PALERMO.  Per musicare il Pater Noster c'è voluto un anno, l'Addio ai monti ha invece visto la luce per primo. In mezzo ecco il romanzo più conosciuto odiato e amato, in quest'ordine - dagli studenti italiani di ogni ordine ed età: che hanno penato su quel ramo di Como, sudato tra i tumulti di Milano, riso ai capponi di Renzo. Eppure, a sentire Michele Guardì - patron, ideatore e deus ex machina de I promessi sposi, nato sul romanzo di Manzoni che ritorna in scena in Sicilia - sono proprio ragazzi e professori ad applaudire più forte al castigato abbraccio finale tra Renzo e Lucia. L'opera - perché di opera moderna si tratta, il compositore Pippo Flora spiega che le sue sono musiche classiche, ma attente all'oggi - sarà portata al Politeama dal 7 all'11 dicembre, poi al Metropolitan di Catania dal 13 al 18 dicembre per chiudere in bellezza, compreso gran cenone di San Silvestro, dal 26 al 31 dicembre al Palaforum Bellavia di Agrigento.



Scambio di complimenti tra Michele Guardì ed Ester Bonafede: il primo loda la disponibilità del sovrintendente e la sua bravura «amministrativa» che ha risollevato il teatro; la seconda abbraccia (metaforicamente) il conterraneo che ha raggiunto i vertici dello spettacolo nazionale. Ed ecco l'opera: Lucia avrà la grazia leggera e i capelli ramati di Noemi Smorra - «la mia sarà una donna terrena, con grossi problemi, Lucia non vuole subire il ricatto, è illuminata dalla fede, che ad un certo punto investe anche l'Innominato -, Renzo, il viso scanzonato di Graziano Galatone - «Guardì è talmente innamorato della sua terra che ormai anche tutti noi parliamo siciliano» - e il messinese Christian Gravina si dividerà tra Fra’ Cristoforo e il cardinale Borromeo - «è un onore interpretarli. Considerando poi che in Notre Dame ero l'arcidiacono Frollo, credo di essere pronto a fare il Papa, se qualcuno deciderà di metterlo in scena». Boutade a parte, la scena è tutta per Michele Guardì che racconta come I promessi sposi sia nato in undici estati agrigentine, nella casa di Pippo Flora affacciata sulla Valle dei Templi. «Quando abbiamo visto l'intero Teatro degli Arcimboldi in piedi ad applaudire questi due siciliani, ci siamo commossi e abbiamo capito di aver messo insieme una vera opera - racconta Guardì -. La forza dello spettacolo è tutta nella musica, ma da questo allestimento avranno una loro importanza anche le coreografie di Martino Muller; senza contare gli effetti scenici (alla fine cade la pioggia salvifica che lava via la peste) i costumi e la bravura degli attori». Venti tappe per un totale di 101 repliche per questa nuova stagione, I promessi sposi viaggia felice su dieci tir. Un allestimento enorme che rilegge modernamente temi lontani, ma attuali, un lavoro che ha commosso persino il cardinale Tettamanzi.

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