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I vecchi motori raccontano la Palermo che fu

Inaugurato a Palermo il Museo storico dei motori e dei meccanismi del Dipartimento di Ingegneria industriali. In mostra anche il Leoncino OM, il camioncino che perdeva olio e scaricava nuvoloni di fumo, ma che si fece spazio fra i carretti con la mula

PALERMO. C'è un turbina a vapore dell'ultimo Ottocento, con una bella ruota bordata di rosso. Alimentava i telai di una «panneria» palermitana. Forse la macchina regalata al Boccone del Povero dalla «Tessoria del Pegno», filanda Florio di via D'Angiò, dove ora c'è l'Istituto per i ciechi. Oppure è uscita dai grandi stabilimenti Gulì, che avevano per motto «Persevera e vinci» e che per più di un secolo hanno spinto l'economia palermitana. Una veneziana «Neville», nome di personaggi dei romanzi dell'ultimo Dickens. Più indietro è appoggiata la turbina Ljungstrom dei primi Novecento che alimentò la centrale elettrica di via Volta sino ai Cinquanta, quando entrò a regime la «Quattro Venti». Comincia a stantuffare un motore marino a due cilindri: affrancava dalla bonaccia yacht e pescherecci d'avanguardia. Ecco l'imponente 8 cilindri a V della Fiat che correva le Mille Miglia, vinceva la Targa Florio e si piazzava in centinaia di gare. Vicino c'è il motore di una moto Benelli e il 125 della Lambretta del '51. Come nuovi. E il Lancia «Ro», camion possente, con motore fabbricato su licenza della tedesca Junkers, erede dei Pentajota (ad Agrigento, sotto forma di autobus diventato «Pintajota») e degli Eptajota. Protagonista della guerra d'Etiopia: trentatré partiti per Addis Abeba, tutti a destinazione in perfetta e polverosa colonna.
Sembra un disegno di Leonardo il motore radiale Siemens Halske Sh. IIIa, a movimento «birotativo»: la cassa gira solidale con l'elica; bielle, cilindri e altre «frattaglie» in senso opposto. Era montato sugli Albatros, Pfaz, Roland, Siemens-Schuckert: caccia del «Circo volante» di Manfred von Richtofen - il «Barone rosso», dal colore del suo aereo - che nella prima guerra mondiale si «intercettavano» con lo Spad XIII col cavallino rampante - poi donato a Ferrari - del maggiore Francesco Baracca e la sua «Squadriglia degli assi». Elegantissima e rara testimonianza aviatoria, forse solo una decina in giro per il mondo. Notizie soltanto due, invece, - l'altro al Politecnico di Torino - del Basse und Selve Bus. IV che nel 1917 equipaggiava il Siemens-Schuckert SSW R. VIII e il Rumpler C, caccia e idrovolante.
Ci troviamo nel «Museo storico dei motori e dei meccanismi» del Dipartimento di Ingegneria industriale (edificio 8 di viale delle Scienze), inaugurato ieri e aperto sino a lunedì, dalle 10 alle 13, poi su prenotazione (fax allo 0916657163 o www.museomotori.unipa.it).
Un'avventura costellata di bielle, cilindri e bulloni «iniziata nel 2008 - dice l'ingegnere Giuseppe Genchi, ideatore del Museo - quando ancora seguivo le lezioni nelle aule al piano terra attigue all'officina. Nel lungo corridoio ci sono finestre che ora guardano nel Museo, ma allora mostravano un "panorama" molto diverso. Ho lavorato gratuitamente per tre anni, nel tempo libero e nei week-end e, alla manualità del restauro, ho affiancato una ricerca storica sempre più approfondita che mi ha rivelato l'enorme valore storico e collezionistico dei "pezzi" ammucchiati in quello che era il magazzino. Intanto, nel 2009 ho conseguito la laurea con lode in Ingegneria Meccanica ed oggi frequento il corso di Dottorato di Ricerca in Energetica». Mesi e mesi di officina con Beniamino Drago, capo meccanico andato in pensione durante i restauri, ma che ha continuato a lavorare per sottrarre alla ruggine quelle preziose testimonianze. Grazie anche ai contributi dell'Università, dell'Ars, Smede di Pantelleria, Mitsubishi Motors, Lanza Plast, Essepi Immagine di Bagheria, lo Studio Bordonali Engineering&Ambiente.
Era tutta roba salvata dal direttore del Dipartimento, Riccardo Monastero: «Mi resi conto - dice - che non si trattava di cose vecchie ma di oggetti antichi che custodivano storia e cultura».
La Siemens Halske dei motori dei caccia della grande guerra aveva pure fabbricato la dinamo che dava elettricità ai mulini Pecoraino, significativa realtà economico-industriale della Palermo a cavallo di '800 e '900, quando c'era il via vai della Belle Epoque, i latifondisti avevano scoperto il business del vino ed estirpavano agrumeti e frutteti per piantare barbatelle. In giro per la Sicilia c'erano tanti motori Daimler, non solo su quattro ruote, fornaci, macchinari, che venivano persino dall'Ungheria - allora impero - oltre che da Londra, Vienna, Berlino e dal «reticolo» dell'industria di precisione della Germania. Girando fra i muti motori, suona qualche campanellino della memoria e si rimettono a fuoco pagine di testi da tempo pensionati. Una collezione di carburatori, croce dei meccanici che «truccavano» tutto ciò che poteva correre più forte sin dalla nascita dei motori. Il Daimler-Benz DB 605 per i Messerschmitt dell'ultima guerra - bombardamenti, morti, macerie, la vita che fatica. Freni «dinamometrici», cinematismi didattici, macchine a fluido, la Lambretta; e gli anni '50 e '60 della «Giulietta» con gli ammortizzatori dolci si «affollano» davanti al monoblocco. C'è pure quello della Dino, la Ferrari progettata dallo sfortunato figlio del «Drake» di Maranello, motore montato sulla invincibile Lancia Stratos e sulla Fiat Dino: oggetti desiderati e impossibili.
Ci fermiamo, quasi per un omaggio, davanti al «cuore» del Leoncino OM (Officine Meccaniche - Brescia), il camioncino che perdeva olio e scaricava nuvoloni di fumo, ma che si fece spazio fra i carretti con la mula.

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