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Pirandello fa pace con la sua Girgenti

In città una targa onora il suo figlio più illustre. Anche se per lo scrittore, fin da quando si trasferì a Palermo e Roma, rimase lontana nella memoria

Non è esagerato dire che non c'è opera di Pirandello (teatro, romanzi, novelle) che non tragga ispirazione diretta o indiretta dal luogo che lo vide nascere e trascorrere i suoi primi anni di vita. Non è facile venga in mente il nome di un altro scrittore di pari livello che come lui abbia conservato un ricordo così vivo della propria città, al punto da apparire ossessivo. Dal suo primo romanzo (L'esclusa) e dai lavori teatrali d'esordio in dialetto girgentano (Liolà, Il berretto a sonagli) a una delle commedie della piena maturità, Questa sera si recita a soggetto.
Girgenti per Pirandello è il nucleo incandescente della produzione artistica, l'aleph dove, come dice Borges, "senza confondersi si trovano tutti i luoghi della terra, visti da tutte le angolazioni". Eppure - e questa è una contraddizione rilevante nella biografia pirandelliana - la città dove lo scrittore nacque e visse i suoi primi anni, l'odierna Agrigento, appunto, rimase assai lontana dai suoi interessi, quasi gli albergasse nella fantasia senza che lui se ne rendesse pienamente conto. Per questo è giusto dire che la Girgenti di Pirandello più che la riproduzione di un luogo effettualmente presente nella sua memoria è il traslato di un mondo molto più vasto; per dirla con Sciascia: è la metafora stessa del mondo.
Nel 1930 da Berlino Pirandello inviò alla Abba, impegnata in una tournée siciliana, una lettera in cui si coglie la reale distanza tra i suoi interessi di allora e il luogo della sua nascita. «M'informerai, spero di tutto; non per altro, per seguirti col pensiero, Marta mia, in questo tuo pellegrinaggio per la mia terra natìa», scriveva con la solita ansia di sentire vicino a sé l'attrice adorata. «Ti assista la fortuna! Io Ti faccio di qua tutti i miei auguri… Se Ti avvenisse di toccare per qualche giorno Girgenti (pagata, s'intende!) scrivendone a Federico Lauricella, perché Ti combini la 'piazza', salutami il pino del Caos e la vecchia bicocca dove sono nato. Forse non li vedrò mai più».
In questa lettera sembra lontana, come gli balenasse da una distanza siderale, la "bicocca" del Caos. Eppure ad Agrigento era stato tre anni prima, in compagnia di Marta Abba e degli altri attori della compagnia del Teatro d'Arte da lui diretto. Ma era da considerare un altro, allora, quel "professore girgentano" di cui i concittadini avevano letto romanzi che riproducevano il loro ambiente e visto a teatro drammi che ne raccontavano le vicende personali, emblematiche di un male di vivere tipicamente pirandelliano.
Di quel "ritorno" ad Agrigento rimangono foto in cui il Maestro, ritratto nella Valle dei Templi, appare un perfetto ospite, l'espressione estranea come quella dei suoi compagni di viaggio. Era stato anche al Caos, quella volta, e aveva piovuto tanto. Una foto lo ritrae con Marta Abba e la sorella di lei, Cele, sotto un ombrello. In quell'immagine ricordo non si vede il fango che in quelle contrade tutto ricopriva quando pioveva. Ma si conserva un'altra istantanea in cui Pirandello è ritratto in groppa a un asino, scortato da due contadini che sguazzano nella mota. La fanghiglia dei campi del Caos brilla sullo sfondo come in certi quadri di Francesco Lojacono.
Dove oggi c'è la stazione ferroviaria di Agrigento, al tempo di Pirandello bambino dimoravano le mura medievali. In una viuzza che si affacciava su di esse e che oggi prende il suo nome, abitò lo scrittore da ragazzo. Un luogo che, secondo il racconto biografico di Vittore Nardelli dedicato a Pirandello e pubblicato mentre il drammaturgo era ancora in vita, si sarebbe rivelato determinante nella sua formazione psicologica. Sarebbe stato lì, in una camera mortuaria improvvisata all'interno di una delle Torri diroccate, che il piccolo Luigi avrebbe visto un uomo e una donna fare l'amore, un cadavere giacente presso di loro.
Nella stessa casa dove visse da ragazzo, Pirandello diede prova del suo precoce talento artistico. Racconta ancora Nardelli che "a Girgenti Luigi aveva creato un teatro". Merita di essere riproposto questo brano biografico: «La casa ove i Pirandello abitavano sfociava posteriormente sopra un giardino che a sua volta metteva nella via delle Falde. Essendo ripida, la costa compresa tra le facciate delle case e la via malfamata, si scendeva ad essa per una scala di molti ripiani e rampe, con archi posati sul limite dei pianerottoli. Servendosi di una di codeste arcate per boccascena, Luigi allestì uno spettacolo. Costruì le quinte, mise insieme un sipario a riparo dell'immaginoso palcoscenico; poi con abiti della mamma, d'altrui, paludò un certo numero di malcapitati compagni e le stesse sorelle, sottoponendo tutti alla propria temibile (ne dette gran prova più tardi) autorità di direttore».
E la Bibbirria, la Porta dei venti; lassù, nel punto più alto della città, che a settentrione guarda l'interno e del mare sembra non avere neppure idea. Bab-er-rijah dice Pirandello si chiamasse dall'arabo. E poi la Passeggiata, l'odierno viale della Vittoria, panoramica terrazza sulla Valle dei templi e il mare "africano", sotto la quale sorge la palazzina Catalisano, dove Antonietta Pirandello, lasciata Roma, si rifugiava durante le ricorrenti, terribili crisi di nervi. E la via Atenea, il cuore commerciale della città, nel romanzo I vecchi e i giovani descritta come una sorta di cortile dove i carcerati si ritrovavano a fare avanti e indietro durante l'ora d'aria.
C'è tanta Agrigento nelle opere di Pirandello, anche se per lo scrittore fin da quando si trasferì a Palermo e poi a Roma, la città siciliana gli rimase lontana nella memoria. Quasi un ricordo vago, lascito di un sogno. O di un incubo, come alcune pagine delle sue opere autorizzerebbero a far credere.

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