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Un'agronoma con la passione per le parole

La scrittrice Francesca Di Giovanni ha vinto il premio "Un racconto in trenta righe - Il bivio della vita, fuggo o combatto" con la sua opera breve "La vita lasciata nel buio"

PALERMO. Trenta righe bastano per vincere un concorso letterario. È successo a Francesca Di Giovanni, agronoma con la passione per la scrittura. Con «La vita lasciata nel buio» ha conquistato il premio «Un racconto in trenta righe - Il bivio della vita, fuggo o combatto». «Scrivo solo da due anni e intendo coltivare sempre di più questa passione», racconta Francesca (nella foto con la targa). Aurora Pullara


Ecco il testo integrale del racconto di Francesca Di Giovanni, «La vita lasciata nel buio»

Era gennaio. Tuo papà ed io eravamo in riva al mare. Una lunga spiaggia bianca avvolgeva i nostri passi rivolti verso il tramonto. Mano nella mano ci siamo fermati ad ammirare i fondali del mare verde smeraldo. Erano cosi belli che ci invitarono a fare un tuffo. Il sole pomeridiano riscaldava i nostri corpi.
I nostri sguardi si incrociavano come due bambini che per la prima volta assaporavano le coccole. Sono rapiti, senza parole, colpiti da queste nuove scoperte.
I nostri baci si accompagnavano l’uno con l’altro. Ma unico e irripetibile è stato quell’abbraccio. Ci siamo rotolati sulla spiaggia come due gomitoli di lana. Eravamo un unico corpo. Si, un solo corpo. Si sentiva un solo respiro con il fruscio dell’onde del mare che ci accarezzavano mentre eravamo distesi. Continuammo a camminare sin quando il nostro percorso fu interrotto dall’imbrunire. All’improvviso fu sera.
È passato solo qualche giorno e ho saputo che c’eri. Si esistevi. C’era in me una stilla di vita piccola come una goccia di acqua dentro un oceano. Per pochi secondi mi si è fermato il cuore e, quando ha ricominciato a battere, mi sono sentita chiusa dentro una gabbia senza via d’uscita. Più volte ho fatto avanti e indietro per la strada che mi conduceva verso la verità. Ho fatto il test. L’esito era positivo. C’era il tuo embrione. Non avevo più via di scampo. La strada era segnata.
Le lacrime scendevano dal mio viso come piccoli ruscelli in mezzo al bosco. Ho avuto paura. Non della gente che mi conosceva, non dei pregiudizi, non di tuo papà: ma di te. Sei venuto fuori dal nulla. Ti sei formato solo per distrazione. Non ero pronta ad accoglierti. È strano, in passato ti ho tanto desiderato, ma tu non volevi esserci. Forse anche tu hai avuto paura della vita, di questo mondo, dei conflitti incessanti per sopravvivere.
Ritornando a casa, mi chiusi in una stanza. Cominciai a fissare il soffitto con uno sguardo perso nel nulla. Le lacrime si alternavano alle pause dei deformi pensieri. La notte divenne insonne. Speravo in una nuova alba, cosi che tutto fosse svanito come un brutto sogno. Dopo qualche esitazioni informai tuo papà. Lui ti voleva, ti ha desiderato più di ogni altra cosa al mondo. Eri la cosa più preziosa della sua vita.
Subito dopo feci l’ecografia. Ti ho visto. Sei grande quanto la lacrima di dolore che scende sul mio viso. Sento il tuo cuore pulsare. Il dottore dice che sei sano, vuoi nascere, lotti con tutte le tue forze per crescere. Hai deciso di vedere la luce.
Vorrei tanto averti con me. Stringerti fra le mie braccia. Amarti più di ogni altra cosa al mondo. Ma se lo facessi sarebbe solo un gesto egoistico. Penserei solo a me stessa. Lo farei solo per non restare sola. Per dare un senso alla mia vita. Per cancellare la mia solitudine. E poi chi lo dice che tu vorresti esserci? Del resto non l’hai scelto tu di essere concepito. Non potevi. È stato solo un errore. Lo sai che sono una donna che lavora. La tua presenza stravolgerebbe la mia vita. Certo i tuoi nonni sarebbero felici di tenerti fra le loro braccia. Una nuova vita è sempre una nuova gioia. Non ci riesco, non mi vedo per strada con il pancione, non sopporto la gente che si ferma e chiede di te. Saresti solo uno ostacolo. Da quando ci sei, vivo con panico. Sento la mia libertà svanire nel nulla.
È arrivato l’uomo col camice bianco. È pronto a cancellarti per sempre. Piango. Il dolore mi stringe il cuore. Mi manca il respiro. Riesco a balbettare appena. Ma non sono in grado di fermarlo e lui, con molta indifferenza, fa il suo lavoro.
Scusa tesoro mio. Non posso tenerti con me. Perdonami per ciò che ho fatto. Credimi, a volte, è meglio rimanere nel buio che vivere in questo mondo violento.

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