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L'ultimo Camilleri fra buona cucina e solita raffinata ironia

Nel romanzo "La caccia al tesoro", un altro ottimo giallo poliziesco, lo scrittore siciliano fa abbuffare il commissario Montalbano coi piatti della tradizione isolana

CATANIA. In caso di dieta, è sconsigliata “La caccia al tesoro”. Nel suo ultimo romanzo (“La caccia al tesoro”, pp. 269, € 14, Sellerio) Andrea Camilleri fa, infatti, abbuffare il “suo” commissario Montalbano una volta ogni cinquanta pagine o poco più. “Milinciane alla parmigiana”, “spachetti alle vongole”, “pasta ‘ncasciata” e “involtini di pisci spata”, oltre agli immancabili arancini cui riservò addirittura un titolo edito da Mondadori, sono i piatti proibiti che i lettori sovrappeso dovranno dribblare durante l’entusiasmante scoperta di un altro lavoro dell’autore siciliano.
Ancora una volta il piacere della lettura viene stimolato e soddisfatto da Camilleri, capace di toccare molte corde: al tempo stesso grottesco e meditativo, greve e raffinato, ironico e cupo, lo scrittore esplora strade tortuose della mente umana. Dall’incruento faccia a faccia con un’anziana coppia di fanatici religiosi alla tragica sfida combattuta con uno psicopatico assassino, “La caccia al tesoro” introduce con garbo alla lettura e, poi, rapisce brutalmente come solo un maestro del giallo poliziesco sa fare.

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