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Aspra, le mille storie dal Museo dell'acciuga

L'iniziativa dei fratelli Balistreri, titolari di un'impresa specializzata nella conservazione di pesce. Tanti i reperti della tradizione marinara

Bagheria. Sì, lo so, sono imbalsamati, ma un'ombra di disagio prende passando sotto allo squalo con la bocca aperta, immersi in un mare inesistente di conchiglie, reti e coralli. Guardi a destra e, in tralice, vedi un pesce martello e altri «bistini», come molta parte della Sicilia chiama i temibili pescecani; a sinistra una murena gigante e sinuosa che, in certi paesi, nomina l'«annacàta» di giovani donne: bruna e in fila fra sornioni squalotti. Sullo sfondo, archi di corde e acuminate dentature di ex rapaci d'acqua. Se abbassi lo sguardo, ti trovi a fissare l'occhio giallo della tartaruga. Mite, rassegnata al suo nome antico di «cufuruna», che non entusiasma attribuito agli umani. Nei videogiochi, in quelli di ruolo è malvagia e mostruosa, qui, immobilizzata dalla formalina, appare stanca di portare la pesante «casa» regalatale da Giove.
Siamo nel «pronao» del «Museo dell'acciuga» dei fratelli Balistreri, all'Aspra (via Cotogni 1), messo su una decina di anni fa per non disperdere testimonianze della cultura del mare, vecchie di secoli.
Attraverso un camminamento rischiarato da luci come sottocoperta, si arriva agli ambienti del museo. Una parata di latte «Marca Vaticano» delle acciughe salate, i barili a doghe dritte del «salato» sino alla metà dei ‘50, remi da sciabica, cordame, galleggianti di vetro, timoni, rimasugli di ciancioli, lampare grandi e piccole, altre latte e lattine, ancore e bozzelli, «sfoselle», ceste e coffe, il coppo, cestini e «panari» del venditore ambulante. E un manichino giovane con camicia bianca e coppola scura che sovrasta col suo sguardo fisso.
Viene di chiedergli spiegazioni. Ma lo può fare solo Michelangelo Balistreri, 47 anni, poeta dialettale e contitolare col fratello Girolamo, fine modellista, di un'azienda di conservazione del pesce.
Versi marittimi, di metrica rapida, come onde anomale, musicali, benigne e incalzanti risacche. Ricordano l'incerto destino del mare, il coraggio a piedi nudi, spalancano ricordi di fatiche che un racconto non narra. Racchiuse in poche parole: «Turnavanu all'arba/cu cori sutta a prua/ chi cavusi arrunzati/a pedi scavusi/e supra 'na statia/pisavanu 'nzemmula e pisci/lu sonnu, lu travagghiu/e la stanchizza».
Apre l'antico tappo a molla di un bottiglione, odore liquoroso. L'Enogarum, il vino di acciughe. Si faceva, e si fa, con il «liquame della salagione». Diluito con l'acqua diventa Hidrogarum, con l'aceto Oxigarum, mischiato all'olio Oleogarum. Tutta roba da taberna e triclinio, raffinatezze dei Romani delle quali, all'Aspra, non si sono perdute le tracce. I Balistreri si ingegnano in microproduzioni per sottoporle ai visitatori e alle scolaresche. I barili di legno viaggiavano per i paesi della campagna sulla mula, poi sulle prime «lape», e le sarde salate si vendevano «a cìauru»: sì, secondo il «profumo» del pesce-«salvagente», per secoli leccato da generazioni di povertà ma anche protagonista di falò di allegria con odori uguagliati soltanto dai carciofi di maggio.
Il Museo dell'Acciuga - anciòva di sua madrelingua - è inglobato fra lo stabilimento dell'azienda Balistreri e la «putia ri pisci salatu» dove si vendono scatolette di alalunga sotto'olio, latte e lattine di tonno e sardine sott'olio e sotto sale, tubetti di pasta d'acciughe che arrivano in tutt'Italia, soprattutto in Piemonte - aiuto alla bagnacauda - in Europa e nel mondo, sino al Giappone.
All'uscita del percorso a ritroso, si vede subito un acquario «a secco», vi sono sospesi saraghi, occhiate, orate, luvari, sgombri, scorfani, granchi e grandi aragoste e «lefani», gli eleganti e spesso proverbialmente vuoti astici. Sopra c'è una lancia sormontata da un pescespada. Si può immaginare un'allusione al merlin e alla barchetta di Santiago de Il vecchio e il mare, ma sono tutti colori siciliani. E il pescespada è fatto a mano. Lo ha «costruito» Girolamo Balistreri, il fratello modellista. Slanciato e ammirevole, forse come lo immaginava Stefano D'Arrigo scrivendo e riscrivendo. Su due lati del quadrilatero, teche con 1.200 conchiglie numerate e in bell'ordine. Dall'accella alle telline, ostriche, la mytilus edulis - cozza sulla bancarella - e tante altre, notissime e rare, del mare nostrum e degli oceani. Colori forti e delicati, rugosità e levigatezze, attorcigliamenti arzigogolati e rotondità semplici: forme infinite con la sapienza anche postuma a Linneo nei nomi.
Ci vorrebbe qualche sussidio per apprendere qualcosa: cartelli, audio video, uno speaker; aiuti che nei musei ci sono ma che i Balistreri non hanno.
Il Soprintendente del mare, Vincenzo Tusa, è interessato. «Fra i nostri compiti e desideri - dice - c'è quello di valorizzare la tradizione marinara; questo museo nasce dalla realtà produttiva dei Balistreri. È compito delle istituzioni agevolare tali iniziative. L'auspicio mio è che ci sia un appoggio istituzionale. Appena riparte il Por (programma operativo regionale) presenterò un progetto, corredato di cifre, per aiutare il Museo dell'acciuga a diventare più visibile e visitabile, e con un buon apparato didattico ed esplicativo».
Meritano questo interesse l'anciova, la sarda, il sale siciliano, le reti coi buchi «sarciuti» ancora a mano; e la marineria, che aspetta sempre che lo scirocco giri.

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