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Luce e cielo: l'architettura della nuova Rinascente

Flavio Albanese racconta le idee messe a frutto per realizzare gli interni e gli esterni del palazzo di via Roma, a Palermo

Palermo. Il progetto per la nuova Rinascente di Palermo è dell’architetto Flavio Albanese (insieme con firme quali lo studio d’architettura Dordoni,Cibic e Partners, e v. Va Druisen). Albanese non è siciliano ma conosce bene la Sicilia, la sua luce e la sua identità di isola.
Per questo forse ammette subito che la sua idea parte proprio da elementi naturali come appunto la luce e il cielo, legati insieme con l’osservazione della geografia urbana di una città che definisce “nati per sovrapposizione, per  strati culturali”. Desidera comunicare nella sua architettura un “racconto per frammenti” in cui il nuovo contenitore ed il vecchio contenuto stiano in equilibrio, senza che l’uno prevarichi l’altro. L’operazione è semplice, pulita: schermare la fabbrica preesistente sul fronte della via Roma con una cadenza ritmica di vetrate opalescenti, lattiginose, in cui la purezza del cristallo vene esaltata di giorno dalla luce naturale, di notte dai led. In alto un sottile ininterrotto taglio traccia una linea netta creando un gioco di vuoto su pieno. Il volume della struttura è imponente seppur leggero, contemporaneo. In basso ampie vetrine che sembrano gigantesche finestre, allestite come teatrini variopinti.
Di fianco sulla Piazza San Domenico il fianco presenta la sua facies barocca, restaurata. Ripulita ma ben leggibile  è anche la parte più recente della fabbrica, la più nascosta, che insiste su via Gagini.
Al’interno lo spazio è senza gerarchie, svuotato interamente articola il movimento attraverso il blocco centrale delle scale mobili che immediatamente danno lettura delle varie aree espositive senza barriere visive. La nuova Rinascente è caratterizzata da un monocromatismo di fondo interrotto da qualche tocco lieve di colore. Le linee sono pure, i materiali neutri come il gres grigio, l’acciaio, i tessuti metallici, il plexiglass, il legno laccato in lucido nero o bianco. Insieme tocchi di lusso come l’utilizzo del marmo di Carrara e del legno grezzo di quercia.
L’illuminazione è molto contemporanea, studiata. I piani sino al terzo sono interamente illuminati artificialmente con led e con punti luminosi di grande effetto. Il quarto e il quinto piano invece dialogano con la luce naturalea, con il gioco del colore naturale che proviene dall’esterno, con un paesaggio opulento che offre visioni congiunte di mare, scorci urbani, altre architetture, monti. Flavio Albanese tiene molto a puntualizzare che questi spazi vogliono essere piamente fruibili. Indicando la scala elicoidale rossa e bianca che cattura la scena dei piani alti immettendo nelle splendide terrazze si intuisce che è molto soddisfatto dei risultati, e precisa che “ questo lavoro palermitano ha un importanza non solo architettonica ma è anche per me un atto etico e sociale, è avere rispettato il tempo, il luogo e quanti hanno contribuito a rendere possibile tutto questo. Ha per me un valore etico ed estetico”.
Albanese concedendosi anche qualche piacevole vezzo creativo allude al clima di festa con cui negli ultimi giorni tutti hanno lavorato al cantiere, e precisa che architetti, Ad, responsabili amministrativi, e in particolare le maestranze, provenienti da diversi paesi, soprattutto mediterranei, hanno lavorato insieme alacremente per un obiettivo comune: restituire alla città uno spazio collettivo, che potesse essere di tutti. Albanese afferma che la sua architettura vuole raccontare la verità, dimostrando che anche a Palermo è possibile un costruire contemporaneo. Perché dice “non si può fare diversamente, sarebbe oltre che anacronistico anche impossibile. Il presente è oggi, è adesso. L’Occidente ha un background immenso che va rispettato. Ma chi vive solo nel passato resta di sale. Così è per l’architettura”. Una dichiarazione di rispetto dunque dell’identità del luogo, della sua storia urbana, ma capace di operare con un sentire contemporaneo nel tessuto della città,  senza frizioni, secondo un’azione che è critica e al contempo fluida, capace di porsi in rispettoso dialogo e senza clamore con le preesistenze, parlando un linguaggio nuovo. Aprendosi al contemporaneo elaborando dice Albanese “il lutto” che legge nella novità una perdita e non una conquista.

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