Lo sfogo di Amanda Knox: «Il sistema giudiziario mi tormenta da 17 anni»
Amanda Knox di nuovo contro il sistema giudiziario italiano: «Mi tormenta da 17 anni», ha scritto su X dopo le motivazioni della sentenza di condanna per calunnia ai danni di Patrick Lumumba nell’ambito di uno dei filoni scaturiti dal processo per l’omicidio di Meredith Kercher (per il quale è stata definitivamente assolta) avvenuto a Perugia la sera del primo novembre 2007. «Inequivocabilmente non ero presente a casa mia, quando Meredith è stata assassinata. Non sono stata coinvolta e non so più di quanto si possa dedurre dalle prove. E state tranquilli: tornerò in Cassazione per combattere questa cosa», ha sottolineato. Parole che arrivano a pochi giorni dalle motivazioni della sentenza della Corte d’assise d’appello di Firenze che le ha inflitto per la calunnia tre anni di reclusione, già scontati con i quasi quattro passati in carcere prima di essere assolta, poi definitivamente, per il delitto del quale si è sempre proclamata estranea. Il processo è stato celebrato dopo il riconoscimento della violazione dei suoi diritti di difesa e il rinvio disposto dalla Cassazione per «porre rimedio». Al centro il memoriale scritto dalla trentasettenne di Seattle la mattina del 6 novembre dopo il fermo per l’omicidio. Per giudici di Firenze Knox accusò «ingiustamente» Patrick Lumumba, un innocente, dell’omicidio di Meredith Kercher «per uscire dalla scomoda situazione in cui si trovava». I giudici hanno ritenuto che si trovasse «all’interno della casa al momento dell’omicidio e quindi ben sapeva» che lui «non c’era». «Sentire un giudice proporre argomentazioni illogiche ed etichettarmi come bugiarda - ha affermato l’americana - mi spinge a continuare a lottare». E ancora: «Ero vulnerabile, esausta, confusa e accondiscendente» ha scritto Knox delle ore passate in questura a Perugia prima di essere arrestata. «Ho fatto del mio meglio - ha proseguito - per immaginare Patrick a casa mia. Ho cercato di ricordare Meredith che veniva aggredita. Ho pensato che urlasse. Chi non urlerebbe mentre viene aggredita con un coltello?». Riferendosi alla notte precedente alla scrittura del memoriale parla di «ore di tortura psicologica». «Finalmente sono stata lasciata sola - sostiene, parlando della mattina successiva - e ho iniziato a realizzare che le dichiarazioni probabilmente non erano vere. Ho provato a dirlo alla polizia, ma mi hanno ignorato. Così ho chiesto una penna e un pezzo di carta». Ma c'è altro. «Il giudice - scrive ancora Knox - ignora quando ho scritto “Voglio chiarire che ho molti dubbi sulla veridicità delle mie dichiarazioni perché sono state fatte sotto la pressione di stress, shock ed estrema stanchezza”. Ignora quando ho scritto “Chi è il vero assassino?” e “Non credo di poter essere usata come testimone di condanna”». Dopo le parole di Knox, appare scontato che la controversa storia giudiziaria dell’omicidio di Meredith Kercher, sicuramente una delle più mediatiche, si prepara a vivere un nuovo capitolo.