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Il boss turco preparava un attentato: così la polizia italiana è riuscita a sventarlo

«Dammi una settimana di tempo, tutta la Turchia ne parlerà», diceva Baris Boyun, intercettato dagli agenti

Boris Boyun arrestato da una task force congiunta di forze dell'ordine italiane e Interpol

«Dammi una settimana di tempo, sto facendo grandi preparatorie, tutta la Turchia ne parlerà». Così, intercettato mentre era ai domiciliari a Crotone, Baris Boyun, 39 anni, il «capo» della «banda armata» turca attiva anche in Italia e in altri Paesi europei, stava programmando un «attentato» ad una fabbrica «di alluminio» in Turchia, anche attraverso un «kamikaze». Attentato terroristico sventato grazie «all’intervento della polizia turca» allertata dagli investigatori italiani.

Lo si legge nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di 19 persone, tra cui lo stesso Boyun, detto «il fratello maggiore», firmata dal gip di Milano Roberto Crepaldi, su richiesta del pm Bruna Albertini. «L’incessante numero di telefonate di Boyun consente di seguire praticamente in diretta i preparativi dell’attentato», scrive il gip. Dalla «costituzione del gruppo di fuoco» ai «sopralluoghi alla fabbrica attraverso il drone» fino all’ipotesi della «bomba umana». Boyun, nel marzo scorso, diceva: «siete pronti, ragazzi? buona fortuna in battaglia! radete al suolo quella fabbrica».

La polizia italiana, però, «aveva provveduto a informare le autorità turche che inviavano sul posto numerose pattuglie impedendo la consumazione dell’attentato alla fabbrica e al Burhanettin Saral», il titolare ed esponente di un gruppo criminale «rivale» a quello di Boyun. Saral era anche «giudicato» da Boyun «responsabile» di un «attentato» ai suoi danni. L’obiettivo «diretto dell’attentato» alla fabbrica, spiega il gip, era «proprio il Saral, ma l’intenzione del Boyun e dei suoi uomini» era, comunque, «di interferire con lo status quo esistente Turchia». Boyun voleva «scalzare il gruppo attualmente al potere, che corrompe lo Stato e lo considera come un criminale di ‘quarta categorià». E proprio per «dimostrare la propria potenza al potere politico turco, per Boyun è indifferente che si riesca davvero ad uccidere il rivale o meno: “Se questo affare non avesse successo, credimi - diceva intercettato - faremo puntare su di loro gli occhi dello Stato e poi li spaventeremo noi”».

Dalle conversazioni intercettate è emerso anche che Boyun «aveva dato mandato ai suoi uomini localizzati in Turchia di perpetrare un ulteriore attentato/atto intimidatorio nei confronti di un ristorante della notissima catena di ristorazione di lusso Nusret Steakhouse, avente filiali in tutto il mondo e, specialmente, in Turchia». Il trentabnovenne parlava, infatti, di «Nusret il kebbabbaro, il socio dei Sarallar», la «nota organizzazione criminale - si legge - rivale di Boyun facente capo a Burhanettin Saral». Attentato, con «una sparatoria» al ristorante, avvenuto il 21 marzo scorso. Dalle intercettazioni ambientali, poi, «è emerso anche il proposito del Boyun di attentare alla vita di un soggetto localizzato nella città di Sakarya in Turchia». Sempre grazie alle informazioni degli investigatori italiani «la polizia turca ha comunicato di aver impedito l’omicidio di Ali Kaplan, di aver arrestato sei soggetti legati al sodalizio di Boyun» e di «aver sequestrato sei fucili automatici AK-47, due pistole e quattro giubbotti antiproiettile».

Nel capitolo dell’ordinanza in cui si descrive la «banda armata», inoltre, il gip ricostruisce l’episodio di un attentato ad un’oreficeria di Istanbul. Caso venuto a galla «sin dal mese di gennaio 2024 dalle operazioni di intercettazione ambientali all’interno del B&B di Milano», dove si trovava Boyun con la moglie. Nella notte tra il 26 e il 27 febbraio scorso, «la saracinesca e la vetrina della gioielleria erano state attinte da 14 colpi di pistola esplosi da due soggetti a bordo di una moto che, nella circostanza, indossavano dei caschi».

L’aspetto «politico» della «lotta« di Baris Boyun, 39 anni, di origine curda, emerge da una conversazione intercettata del 16 gennaio scorso nella quale annunciava di aver «mandato notizie alla gerarchia superiore del Pkk», l’organizzazione paramilitare curda. «Ho detto che non accettiamo un’organizzazione così - diceva - e che fonderemo una nuova organizzazione iniziando una nuova rivoluzione».

Boyun, destinatario come altri 18 di un’ordinanza di custodia in carcere firmata dal gip di Milano Roberto Crepaldi nell’inchiesta coordinata dal pm Bruna Albertini, stava «continuando dall’Italia», dove riteneva «di aver trovato protezione», «insieme ai suoi uomini, una guerra per conquistare la supremazia su altri gruppi criminali che hanno infestato, a suo giudizio, lo Stato turco, lotta che evidentemente non coinvolge solo l’aspetto criminale ma anche quello istituzionale, accusato di fiancheggiare e favorire altre organizzazioni».

La finalità «del gruppo capeggiato da Boyun», scrive il gip, non si limitava ad una «lotta armata» tra clan «per il controllo del territorio e delle dinamiche criminali (traffico di droga, di armi e di migranti), come spesso constatato in passato nel contesto italiano tra associazioni mafiose rivali, ma assume natura propriamente terroristica». Gli «attentati, gli omicidi, le gambizzazioni sono certamente funzionali a imporsi rispetto agli altri gruppi criminali - spiega il gip - ma anche a spezzare il legame esistente, sempre nell’ottica di Boyun, tra queste e lo Stato, orientando i comportamenti delle istituzioni e sostituendosi, evidentemente, a quei legami». E la «destabilizzazione passa» anche, riassume il giudice, «dall’imporre il terrore nella popolazione».

 

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