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Orrore al Parco Verde di Caivano, due bambine stuprate dal branco

Almeno sei i ragazzini indagati, avrebbero detto alle loro vittime: «Andiamo a giocare». E invece le avrebbero violentate

È un’immagine di bellezza quella che ti accoglie quando arrivi al Parco Verde, a Caivano, «la piazza di spaccio più grande d’Europa». Dentro c’è degrado, sporcizia, esseri umani e edifici abbandonati a se stessi e alla violenza dei clan. Ma prima che entri, trovi un enorme murale con due bambine che tengono insieme una piantina che sboccia. Due belle bambine, con il loro sorriso dolce e un po' triste.

Potrebbero avere anche loro sui 13 anni, come le due cuginette di cui il branco ha abusato in una noiosa e calda giornata di luglio. L’inchiesta, coordinata dalla procura per i minorenni di Napoli, è avvolta in un riserbo strettissimo. Quello che è trapelato finora è che le due ragazzine sarebbero state condotte da un gruppo di adolescenti, forse sei, in un edificio abbandonato, qualcuno dice in quello che resta dello Sporting club Delphinia, un centro sportivo con piscine e palestre vandalizzate e oggi completamente in malora. «Andiamo a giocare». E invece le avrebbero violentate. Ma ci sarebbero stati anche altri episodi in passato, altri stupri, che avrebbero coinvolto gli stessi ed altri ragazzi, uno dei quali - l’unico maggiorenne, 19 anni - sarebbe stato fermato. Tutte indiscrezioni, tuttavia, che non trovano conferme ufficiali, nè dagli inquirenti, nè dai carabinieri che indagano: i cellulari di tutte le persone coinvolte sono stati sequestrati per cercare di ricostruire l’orrore.

L’unica cosa certa, perché è agli atti (che l’ANSA ha potuto consultare), è che le violenze sono maturate in un contesto di degrado familiare tale da spingere i servizi sociali ad allontanare le bambine dalle loro famiglie e a collocarle in strutture protette. Una decisione approvata dalla procura e anche dal tribunale. Parlando di una delle due bambine, che tra poco compirà 13 anni, il pm scrive che «era ed è esposta, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per l’incolumità psicofisica». I servizi sociali, si legge, «sono intervenuti in una situazione di chiara emergenza allo scopo di mettere in sicurezza la minore a causa delle condotte dei genitori. Invero - sottolinea ancora la procura - emerge dagli atti che la minore è stata vittima di gravi abusi sessuali da parte di un gruppo di coetanei e che lo stile di vita della minore, che ha favorito la perpetrazione del reato ai suoi danni, è senz’altro frutto della grave incuria dei genitori».

Degrado e violenze che richiamano un fatto successo nove anni fa, proprio a Caivano, e che molti ancora ricordano per la sua efferatezza e brutalità. L’omicidio della piccola Fortuna Loffredo, la bambina di 6 anni violentata e buttata giù dall’ottavo piano, il 24 giugno 2014, dall’allora compagno della madre Raimondo Caputo. In quel caso un muro di omertà rese complicate le indagini, ma stavolta qualcuno ha parlato. Sembra che la notizia circolasse su una chat social e che in questo modo ne sia venuto a conoscenza il fratello di una delle bambine, che avrebbe detto tutto ai genitori. E questi, avuta conferma dalle figlie, che hanno trovato la forza di liberarsi del peso, sarebbero andati dai carabinieri.

«Se questa vicenda è venuta alla luce e perché c’è stato qualcuno che finalmente ha avuto voglia di denunciare. Per questo, nonostante tutto, sono felice», dice non a caso Eugenia Carfora, la preside-coraggio di Caivano che combatte la dispersione scolastica sfidando i boss e va a riprendersi i suoi ragazzi nelle case, uno per uno. Sì, perchè il vero problema, dicono in tanti - dallo scrittore Maurizio de Giovanni alla magistrata di Sorveglianza Margherita Di Giglio, al prete anti-clan don Maurizio Patriciello - non è tanto più polizia, ma più scuola e più servizi sociali. Al Parco Verde le battaglie da combattere, dicono, sono due: una contro la criminalità e la camorra, l’altra contro il degrado e la povertà culturale. E per vincerle serve una sinergia di diversi attori ed istituzioni. Oppure bisogna fare come il capitano Antonio Cavallo, giovane comandante della neonata Compagnia dei carabinieri, che arresta i delinquenti ma sa anche parlare con la gente e fa leva sulla voglia di riscatto che accomuna le tante persone che vogliono rendere Caivano un posto migliore. Un comportamento che paga, come dimostra l’abbraccio in cui qualche tempo fa si è sciolto il bambino di cinque anni a cui il capitano aveva arrestato il padre che sbagliava. «Sei venuto di notte e hai portato via papà. Ti posso abbracciare?».

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