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Bianca e le altre, le possibilità negate alle madri con passato di emarginazione e violenze

Sul comodino di Bianca c’è un libro, in copertina c’è la famosa bambina con il palloncino di Banksy. Il titolo è «La sfortuna dietro l’angolo» e lo ha scritto lei. Perché quel titolo Bianca? «C’è chi nasce fortunato e benestante, con una famiglia che ha tutto, e chi nasce con meno. Io purtroppo non ho avuto questa fortuna, sono cresciuta in una famiglia povera, senza un padre, con una madre che era malata. Ero già responsabile a 10 anni, dovevo prendermi cura della casa, dei miei fratelli e di tutto il resto. E tutta sta sfortuna mi sta perseguitando».
Quasi sempre, dietro una madre in carcere, c’è un passato di sofferenza. Bianca come Patrizia, Refko come Alina. Donne che non hanno mai avuto davvero la possibilità di scegliere, schiacciate da uomini e famiglie che, invece, avrebbero dovuto proteggerle. Un discorso che non vale per tutte, dicono gli operatori e i volontari che lavorano ogni giorno con loro, ma per la maggior parte sì. Un passato che molto spesso è anche il loro presente visti i contesti familiari da cui provengono e l’assenza totale di una rete di protezione. Ed è per questo che, paradossalmente, fuori dal circuito carcerario avrebbero meno occasioni per farcela. Ognuna di loro si porta dentro traumi e paure. Patrizia ha 40 anni e 10 figli. Si è sposata giovanissima. Cinque glieli hanno tolti, il primo marito aveva problemi d’alcol e lei non era in grado di occuparsene. Non sa neanche dove siano. La sesta, una ragazzina che oggi ha 13 anni, avuta con un secondo uomo per colpa del quale oggi è in carcere, è in comunità. Poi è arrivato un altro compagno, un egiziano con il quale ha avuto altri quattro figli. Tre sono in Egitto con lui e anche questi non li abbraccia da anni. L’ultima, Mariam, che ha quasi sei anni, è con lei nell’Icam di Lauro. «Io lo voglio dimenticare tutto il passato - dice con gli occhi che le si velano di lacrime - quando uscirò di qui non voglio portarmi tutte le sofferenze sulle spalle, no. Voglio solo la felicità dei miei bambini. Continuerò a fare la mamma come ho sempre fatto, solo questo per i miei bambini“
Anche Refko dice di aver fatto tutto per i suoi figli. Lei è nell’Icam di Torino, dove vive con Raayn, cinque anni, il più piccolo dei suoi 4 figli. Il più grande, 21 anni, è in carcere, gli altri due di 14 e 17 sono in una comunità in Liguria. «Sono stata sempre una buona mamma e non ho mai fatto mancare niente ai miei figli - ci dice - Ho fatto quello che ho fatto, ho rischiato, sono andata a rubare e l’ho fatto per i miei figli che non hanno avuto un padre. Io ero viva, presente, Non li dovevo far soffrire. Non lo accettavo». Ma ti penti di quello che hai fatto? «No - risponde - non mi pento di quello che ho fatto per i miei figli». Refko sta pagando per i suoi sbagli. E qualche rimorso in realtà ce l’ha. «Mi pento perché se mi miei figli si sono allontanati è colpa mia». Si ferma un attimo, poi riprende: «Ho fatto tanta galera nella vita mia, non avevo mai capito, ma questa galera e questa lontananza dai miei figli mi ha fatto capire tante cose. Certe volte dico che se non ero entrata in carcere non avrei capito.

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