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Covid, le armi contro Omicron: dalle terapie monoclonali ai vaccini

Vaccini, anticorpi monoclonali, antivirali, le irrinunciabili mascherine, il distanziamento e l’ossigeno: le armi disponibili per contrastare la variante Omicron sono molto diverse fra loro, alcune note da molto tempo e altre appena arrivate, una parte di esse aiuta e evitare il contagio di un virus che si trasmette ormai con una grandissima facilità e altre aiutano a bloccare la malattia solo se utilizzate molto precocemente.
Le mascherine sono la principale barriera fisica indicata dagli esperti per ridurre le probabilità del contagio. E’ così dall’inizio della pandemia e, se fossero utilizzate correttamente da tutti potrebbero rappresentare una prima contromisura molto efficace. La stessa cosa vale per il distanziamento: soprattutto davanti a una variante che si trasmette facilmente come la Omicron, evitare assembramenti è la prima regola.
Dai vaccini arriva un duplice aiuto: anche se la loro efficacia si riduce nel tempo in quanto nessuno di essi è specifico contro le varianti Omicron e Delta, attualmente le più diffuse. I vaccini contribuiscono comunque a ridurre i contagi e, in misura più significativa, a evitare la forma grande della malattia e i ricoveri. I dati dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) indicano che il rischio di infezione in chi si è vaccinato con 2 dosi da meno di 90 giorni è inferiore di circa il 78% rispetto ai non vaccinati; per i vaccinati entro 120 giorni si scende al 64,5% e al 41,6% oltre 120 giorni; con la terza dose si risale al 75%. I dati indicano poi che il vaccino continua a proteggere dalla malattia di più e più a lungo, fino al 95,7% entro i 120 giorni dalla somministrazione. Gli esperti sono quindi unanimi nel considerarli una protezione molto importante, sebbene non completa.
Tra i farmaci che hanno dimostrato di avere un’azione contro la variante Omicron, c’è l’anticorpo monoclonale sperimentale sotrovimab, attualmente all’esame dell’Agenzia Europea dei Medicinali (Ema) per il trattamento di adulti e adolescenti con Covid-19 che non hanno bisogno di ossigeno e che sono a rischio di progressione verso una forma grave della malattia.
E’ stato registrato negli Stati Uniti ed è all’esame dell’Ema il primo farmaco preventivo anti Covid, per le persone che non possono vaccinarsi o nelle quali il vaccino potrebbe non funzionare: è la combinazione degli anticorpi monoclonali tixagevimab e cilgavimab, che si legano alla proteina Spike del virus, impedendo in questo modo l’infezione.
Ci sono poi i farmaci antivirali, che vanno assunti molto precocemente, come il molnupiravir e il remdesivir recentemente autorizzati dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) per i pazienti una malattia lieve o moderata e a rischio di sviluppare una malattia grave. Per l’uso precoce, non appena compaiono i primi sintormi, è indicata anche la pillola sperimentale Paxlovid.
Per la forma avanzata della malattia ci sono infine i farmaci anti-infiammatori, che vengono somministrati soltanto in ospedale per contrastare la cosiddetta tempesta di citochine.

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