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L'ex avvocato Porcello ai giudici: ho fatto parte di cosa nostra agrigentina

La professionista di Canicattì da mesi ha iniziato il suo percorso di collaborazione con la Direzione distrettuale antimafia

L'avvocatessa Angela Porcello

«Ho fatto parte di Cosa Nostra a partire dal 2015, posso dirvi quello che so. Valutate voi quale può essere l’apporto conoscitivo e l’utilità": l’ex avvocato Angela Porcello, cancellata dall’Ordine dopo essere stata arrestata, il 2 febbraio scorso, nell’operazione «Xydi», vuota il sacco. Da mesi, secondo quanto si apprende oggi, ha iniziato il suo percorso di collaborazione con la Direzione distrettuale antimafia. Tuttavia, anche se nei verbali, come si fa in circostanze del genere non viene indicata la località per ragioni di sicurezza, non si può parlare tecnicamente di una «pentita» o «collaboratrice di giustizia».

Questo perchè, lo scorso 3 luglio, i pubblici ministeri della Dda di Palermo, dopo una serie di colloqui, hanno bocciato apertamente la sua linea mettendo a verbale che «non emergono elementi di novità, completezza e rilevanza rispetto a quanto già accertato e, quindi, non ci sono i presupposti per un percorso di collaborazione». Angela Porcello, tuttavia, ha riempito centinaia di pagine di verbali, da aprile e fino a tre mesi fa, ammettendo di avere avuto un ruolo nel mandamento mafioso che gli sarebbe derivato dalla relazione con l’imprenditore Giancarlo Buggea, tornato pienamente operativo in Cosa Nostra dopo avere scontato la precedente condanna. Ha parlato di estorsioni, dinamiche mafiose, armi e persino di un omicidio. Quello di un bracciante agricolo che sarebbe stato trovato bruciato 7 anni fa nella sua auto per avere sfidato il boss Calogero Di Caro minacciandolo con una pistola per strada quando l’anziano capomafia era nella sua abitazione. La vittima cercava lavoro come bracciante e avrebbe chiesto aiuto a Buggea, secondo la versione di Angela Porcello (che i pm a volte chiamano signora e a volte avvocato), che, però, non poteva assumerlo nelle sue aziende per via dei suoi precedenti. A quel punto sarebbe andato in un locale di Canicattì, sotto l’abitazione di Di Caro e gestito dallo stesso boss, con una pistola in mano provocandolo e chiedendogli di scendere non si sa bene per quale motivo.

I pm, tuttavia, fanno notare che si tratta di un movente già ipotizzato dalla polizia, che aveva avviato degli interrogatori, e, quindi, bocciano queste sue dichiarazioni. Le prime domande che avevano provato a fare i pm riguardavano Matteo Messina Denaro. L’ex professionista precisa subito di non sapere dove si trova ma che Buggea, in passato, lo incontrò e, pur non avendogliene mai parlato, ha la convinzione di un legame attuale e di un filo che lega l’imprendibile padrino di Castelvetrano alle famiglie di Cosa nostra agrigentine. Buggea, inoltre, parlando con l’allora compagna, le avrebbe detto che la lunga scia di omicidi commessi sull'asse Favara-Belgio sarebbe stata legata a un traffico di droga. Una versione, di fatto, smentita dalle risultanze dell’operazione «Mosaico», che avrebbe individuato nella vendetta per l’omicidio dell’imprenditore Carmelo Bellavia, che non aveva onorato un debito, l’innesco della miccia.

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