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Mafia, arrestati due complici di Messina Denaro: perquisita la casa del superlatitante a Castelvetrano

Blitz antimafia da parte della polizia nelle province di Trapani e di Caserta. La squadra mobile di Trapani, su delega della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, ha arrestato due persone ed eseguito numerose perquisizioni. Gli arrestati sono Giuseppe Calcagno e Marco Manzo, ritenuti favoreggiatori di Matteo Messina Denaro.

Quindici gli indagati a vario titolo per associazione mafiosa, estorsione, detenzione di armi e favoreggiamento della latitanza del boss mafioso. Perquisita anche l'abitazione di Castelvetrano, residenza anagrafica del latitante Messina Denaro ma dove abita la madre.

La Squadra Mobile di Caserta, con il coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, ha eseguito numerosi arresti nei confronti degli esponenti del sodalizio criminale con a capo un ex cutoliano, attuale reggente del clan dei Casalesi nell'agro Teano. Tra gli arrestati anche il referente di zona del federato clan "Papa".

Giuseppe Calcagno, 46 anni, è un fedelissimo dell’anziano capomafia di Mazara Vito Gondola, che era stato fermato cinque anni fa. Da quell'indagine erano emersi i nomi di Calcagno e di Marco Manzo, che oggi sono finiti in manette. Quest'ultimo apparteneva al clan che nel 2008 incendiò la casa al mare del consigliere comunale del Pd Pasquale Calamia, reo di aver chiesto a gran voce l’arresto di Messina Denaro.

Anche il ruolo di Marco Manzo è servito a favorire l’esercizio della posizione di comando da parte di Gondola; ha partecipato a riunioni e incontri con altri membri dell’organizzazione e ha favorito lo scambio di informazioni, anche operative, con membri e vertici delle famiglie mafiose della provincia di Trapani e di altre province. È anche intervenuto per risolvere i conflitti interni e si è imposto nel territorio quale imprenditore del settore di carburanti in posizione dominante in forza dalla sua appartenenza a Cosa nostra. Marco Manzo è indagato, in concorso, anche per aver costretto un dipendente di una società per la vendita di carburanti di Campobello di Mazara a rassegnare le proprie dimissioni, rinunciando al pagamento degli stipendi arretrati e alle altre spettanze economiche. Era stato condannato per aver favorito la latitanza del boss mafioso Vincenzo Sinacori e poi per il danneggiamento aggravato ai danni dell’abitazione del di Castelvetrano.

L’inchiesta coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Paolo Guido ha provato a svelare il passaggio dei "pizzini" e ci sarebbe la traccia di un biglietto che sarebbe giunto da Messina Denaro. In questa indagine, il boss è indagato per tentata estorsione, in riferimento alle minacce esercitate direttamente per mettere le mani su un terreno in passo appartenuto al padrino corleonese Totò Riina.

Sono state documentate le pressioni estorsive esercitate su un agricoltore marsalese, al fine di costringerlo a cedere a un membro dell’associazione un appezzamento di terreno, che invece avrebbe voluto acquistare per se. Le indagini hanno fatto luce anche su i contrasti fra uno degli indagati mafiosi e alcuni imprenditori agricoli e allevatori e su gli incontri tra mafiosi finalizzati a ricercare una soluzione.

L’intervento di Cosa nostra era essenziale anche per risolvere dissidi per l’utilizzo di alcuni fondi agricoli e per il pascolo nelle campagne di Castelvetrano. Attraverso le attività tecniche di intercettazione è stato svelato il tentativo di estorsione nei confronti degli eredi del defunto boss mafioso campobellese Alfonso Passanante, affinchè cedessero la proprietà di un vasto appezzamento di terreno in contrada Zangara di Castelvetrano, appartenuto al boss deceduto Totò Riina.

Le minacce dalla cosca mafiosa di Campobello, rappresentata dal boss mafioso Vincenzo La Cascia, furono avallate anche da una lettera intimidatoria attribuita al latitante Matteo Messina Denaro, risalente al 2013. Nessuna tregua al padrino di Castelvetrano.

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