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Mafia, arresti tra Gela e Brescia contro la Stidda: pizzo ad imprenditori. I nomi dei fermati

La Stidda di Gela disponeva di “500 leoni” armati che avrebbero potuto scatenare l’ennesima guerra di mafia. È quanto emerso dall'indagine della polizia che ha portato a 35 ordinanze di custodia cautelare, di cui 28 in carcere e 7 agli arresti domiciliari. Sono indagati a vario titolo si associazione di tipo mafioso, estorsione, associazione per delinquere finalizzata al traffico e spaccio di stupefacenti e detenzione illegale di armi.

Proprio dalle intercettazioni, Vincenzo Di Giacomo Vincenzo affermava che, qualora si fosse prospettata l’ipotesi di fronteggiare il clan rivale di Cosa Nostra, ci sarebbero stati uomini pronti a scatenare una "guerra"

I 35 arrestati sono: Bruno Di Giacomo, inteso “Marlon Brando”, gelese di 44 anni; Giovanni Di Giacomo, gelese di 47 anni, già detenuto; Giuseppe Alessandro Antonuccio, gelese di 39 anni, già agli arresti domiciliari; Giuseppe Antonuccio inteso “Pallina”, gelese di 33 anni; Ajdini Mirjan inteso “Emiliano o Puci”, albanese di 32 anni, già agli arresti domiciliari; Luigi D’Antoni, gelese di 54 anni; Vincenzo Di Giacomo, gelese di 52 anni, già detenuto in una casa di lavoro; Rocco Di Giacomo, gelese di 63 anni; Vincenzo Di Maggio, gelese di 30 anni; Giuseppe Giaquinta, gelese di 28 anni; Luciano Guzzardi, catanese di 55 anni; Lauretta Emanuele, gelese di 35 anni, già detenuto; Emanuele Lauretta, gelese di 41 anni; Rosario Marchese, calatino da sempre vissuto a Gela di 33 anni, già detenuto; Gaetano Marino, gelese di 35 anni; Giuseppe Nastasi, gelese di 35 anni; Nicola Palena, gelese di 37 anni, già detenuto; Gianluca Parisi, gelese di 36 anni; Alessandro Emanuele Pennata, gelese di 36 anni; Paolo Franco Portelli, gelese di 20 anni; Andrea Romano, gelese di 25 anni; Filippo Scerra, gelese di 44 anni; Alessandro Scilio, gelese di 39 anni; Massimiliano Tomaselli inteso “Emiliano”, gelese di 38 anni; Giovanni Traina, palermitano di 44 anni, trapiantato a Gela; Giuseppe Truculento, gelese di 51 anni.

Sono stati posti agli arresti domiciliari: Samuele Antonio Cammalleri , gelese di 32 anni; Giuseppe D’Antoni, gelese di 30 anni; Laura Cosca, gelese di 25 anni;  Aleandro Famà, inteso Scarabeo, gelese di 23 anni; Benito Peritore, gelese di 43 anni, già detenuto; Calogero Daniele Infurna, gelese di 36 anni; Giuseppe Vella, palermitano trapiantato a Licata di 66 anni.

Sono attualmente ricercati Salvatore Antonuccio inteso “orecchie di plastica”, gelese di 42 anni e Gaetano Simone, gelese di 48 anni.

L’ordinanza è stata eseguita dai poliziotti del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, della Squadra Mobile di Caltanissetta e del Commissariato di Gela, con l’ausilio del Reparto Prevenzione Crimine e di Unità cinofile di Palermo e Catania e delle Squadre Mobili di Catania, Siracusa, Chieti, L’Aquila, Brescia e Cosenza.

Inoltre, il Gip presso il Tribunale di Caltanissetta ha disposto il sequestro preventivo di alcune aziende, il cui valore è ancora in fase di accertamento.

Si tratta dell’intero capitale sociale e del compendio aziendale della Cartaplastic srls, con sede legale a Gela, che si occupa del commercio di saponi e detersivi e ingrosso di altri prodotti nel settore alimentare, intestato a Laura Cosca quale titolare delle quote; dell’intero capitale sociale e del compendio aziendale della Sweet Plastic srls, con sede legale a Gela, che si occupa del commercio di saponi e detersivi e ingrosso di altri prodotti nel settore non alimentare, intestato sempre a Laura Cosca quale titolare delle quote; dell’intero capitale sociale e del compendio aziendale della Malibù Indoor srls, con sede a Gela, che si occupa d’intrattenimento all’interno della discoteca Malibù di Gela, con intestazione di parte delle quote a Giuseppe D’Antoni.

L’indagine, denominata “Stella Cadente”, ha avuto inizio nel 2014 dopo il ritorno in libertà dei fratelli Bruno e Giovanni Di Giacomo, dopo un lungo periodo di detenzione. Le indagini hanno accertato che gli stessi sono stati mantenuti in carcere dallo zio Rocco Di Giacomo Rocco e, una volta ritornati in libertà, i due hanno riallacciato le fila di una fitta rete di contatti con sodali, vecchi e nuovi, della stidda gelese.

I fratelli Bruno e Giovanni Di Giacomo sono riusciti a imporre la loro costante presenza nel territorio gelese avvalendosi d’imprese mafiose, intestate fittiziamente a prestanome, dedite alla distribuzione dei prodotti per la ristorazione e di prodotti alimentari, in quello delle serate in discoteca e nel settore immobiliare. Dalle indagini sono emerse tante estorsioni ai danni di commercianti e imprenditori, anche avvalendosi di attentati incendiari nei confronti di chi si rifiutava di obbedire.

La stidda capeggiata da Di Giacomo Bruno, infatti, aveva imposto prodotti per la ristorazione e alimentari a numerosi commercianti gelesi che erano costretti ad acquistare beni, talvolta a prezzi maggiorati e in altre occasioni in quantità maggiori rispetto al loro volere.

Altro settore economico d’interesse è stato quello della costruzione, ristrutturazione e compravendita immobiliare, dove la stidda si era inserita attraverso società di comodo, intestate ad Alessandro Emanuele Pennata, costituite al chiaro scopo di "ripulire" il danaro sporco provento delle attività illecite.

Vincenzo Di Maggio, invece, era autista e ambasciatore del boss Bruno Di Giacomo e si occupava di riferire gli ordini di quest’ultimo agli altri sodali presenti sul territorio. Così facendo i fratelli Di Giacomo e lo storico stiddaro Filippo Scerra evitavano di incontrarsi quotidianamente, riducendo così il rischio di essere scoperti dalla polizia.

Inoltre, Vincenzo Di Maggio, faceva parte anche dell’ala imprenditoriale del clan, avendo assicurato il proprio contributo nella gestione di attività economiche controllate dall’organizzazione mafiosa, e risultando preposto alla gestione della discoteca Malibù, che era sotto il completo controllo degli stiddari.

Di Maggio, così come Alessandro Scilio e Gaetano Marino, si occupava anche del traffico di droga. In poco tempo, la stidda ha intessuto rapporti con importanti piazze siciliane dello spaccio come quella di Palermo, Catania e Vittoria, dove sono stati individuati alcuni fornitori e corrieri quali Luciano Guzzardi, Gianluca Parisi, Giovanni Traina e Ajdini Mirian, ma anche con piazze di spaccio torinesi.

Giuseppe Alessandro Antonuccio, Giuseppe Antonuccio, Filippo Scerra ed Emanuele Lauretta hanno, invece, fornito il proprio contributo alla stidda per la custodia e occultamento sia della droga che delle armi a disposizione del clan.

Diversi i covi ritrovati come quello di via Tucidide dove, nel luglio del 2016, furono scoperti 13 chili di hashish e marijuana e una pistola calibro 75, e di via dei Mille dove, nel novembre dello stesso anno, furono trovati 52 chili di hashish, un chilo di cocaina e una pistola semiautomatica con matricola abrasa.

Un altro covo a disposizione della stidda è stato scoperto in via Solferino, dove Giuseppe Nastasi deteneva e spacciava droga per conto della consorteria. Con la collaborazione di Marchese Rosario, gestiva le operazioni di deposito su suoi conti correnti, del danaro provento dell’attività di spaccio, che era poi riutilizzato per l’acquisto di altro stupefacente o riciclato da parte dello stesso Marchese a favore della consorteria.

Contemporaneamente un blitz è stato condotto anche dalla Squadra Mobile di Brescia, coordinata dalla locale D.D.A., che ha accertato la costituzione di un sodalizio mafioso operante prevalentemente in Lombardia e Piemonte del quale fanno parte alcuni esponenti della Stidda, finalizzato principalmente alla commissione di un numero indeterminato di delitti sia in materia fiscale (in particolare indebite compensazioni mediante utilizzo di crediti fittizi) sia contro la pubblica amministrazione (in particolare corruzione di pubblici ufficiali) e a riciclare i proventi illeciti.

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