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Il Papa: non c'è Chiesa senza perdono, no a condanne e chiusure

CITTA' DEL VATICANO. «Lo Spirito è il primo dono del Risorto e viene dato anzitutto per perdonare i peccati. Ecco l’inizio della Chiesa, ecco il collante che ci tiene insieme, il cemento che unisce i mattoni della casa: il perdono. Perché il perdono è il dono all’ennesima potenza - ha detto Francesco -, è l'amore più grande, quello che tiene uniti nonostante tutto, che impedisce di crollare, che rinforza e rinsalda. Il perdono libera il cuore e permette di ricominciare: il perdono dà speranza, senza perdono non si edifica la Chiesa». Sono le parole di Papa Francesco che, sul sagrato della basilica vaticana in Piazza San Pietro, presiede stamane la messa della solennità di Pentecoste. Concelebrano con il Papa, vestito con i paramenti rossi, cardinali, vescovi e sacerdoti.

«Lo Spirito del perdono, che tutto risolve nella concordia, ci spinge a rifiutare altre vie - ha aggiunto -: quelle sbrigative di chi giudica, quelle senza uscita di chi chiude ogni porta, quelle a senso unico di chi critica gli altri. Lo Spirito ci esorta invece a percorrere la via a doppio senso del perdono ricevuto e donato, della misericordia divina che si fa amore al prossimo, della carità come 'unico criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non cambiato'».

«L'azione dello Spirito», propria della Pentecoste, «a ognuno dà un dono e tutti raduna in unità», cioè «crea la diversità e l’unità e in questo modo plasma un popolo nuovo, variegato e unito: la Chiesa universale». Pertanto «l'unità vera, quella secondo Dio, non è uniformità, ma unità nella differenza».
«La nostra preghiera allo Spirito Santo - ha quindi aggiunto - è allora chiedere la grazia di accogliere la sua unità, uno sguardo che abbraccia e ama, al di là delle preferenze personali, la sua Chiesa, la nostra Chiesa; di farci carico dell’unità tra tutti, di azzerare le chiacchiere che seminano zizzania e le invidie che avvelenano, perché essere uomini e donne di Chiesa significa essere uomini e donne di comunione; è chiedere anche un cuore che senta la Chiesa nostra madre e nostra casa: la casa accogliente e aperta, dove si condivide la gioia pluriforme dello Spirito Santo».

Nella Chiesa bisogna "evitare due tentazioni ricorrenti. La prima è quella di cercare la diversità senza l’unità. Succede quando ci si vuole distinguere - ha spiegato -, quando si formano schieramenti e partiti, quando ci si irrigidisce su posizioni escludenti, quando ci si chiude nei propri particolarismi, magari ritenendosi i migliori o quelli che hanno sempre ragione. Sono i cosiddetti 'custodi della verità'».

«Allora si sceglie la parte, non il tutto, l’appartenere a questo o a quello prima che alla Chiesa; si diventa 'tifosi' di parte anziché fratelli e sorelle nello stesso Spirito; cristiani 'di destra o di sinistra' prima che di Gesù; custodi inflessibili del passato o avanguardisti del futuro prima che figli umili e grati della Chiesa. Così c'è la diversità senza l’unità», ha detto.

La tentazione opposta è "cercare l’unità senza la diversità": così però «l'unità diventa uniformità, obbligo di fare tutto insieme e tutto uguale, di pensare tutti sempre allo stesso modo"; «l'unità finisce per essere omologazione e non c'è più libertà».

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