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Processo Stato-mafia, Maroni: Previti influenzava politiche su giustizia

PALERMO. Un decreto legge su alcune questioni di giustizia, presentato dal governo Berlusconi nel 1994, avrebbe penalizzato la lotta alla mafia. Nel suo esame al processo sulla trattativa Stato-mafia, l'ex ministro dell'Interno e attuale governatore della Regione Lombardia Roberto Maroni ha ricordato quegli eventi.

«Nell'ambito della compagine governativa era notoria l'influenza che il senatore Previti (all'epoca ministro della Difesa) aveva sulle iniziative in tema di giustizia», ha detto l'ex ministro dell'Interno, Roberto Maroni, rispondendo alle domande dei pm del processo trattativa Stato-mafia. «Che Cesare Previti - ha proseguito - fosse il responsabile della giustizia nel partito, pur non essendo ministro, non ci scandalizzava. Sono normali queste cose».

"Mi opposi pubblicamente, in un'intervista al Tg3 (del 16 luglio 1994), al decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri il 14 luglio del 1994. Notai subito - ha detto - delle differenze rispetto a quello che mi era stato mostrato nei giorni precedenti soprattutto sull'applicabilità di misure cautelari nell'ambito di procedimenti per reati come la corruzione e concussione". L'intervista è stata proiettata nell'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo.

Maroni ricorda anche di aver fatto esplicito riferimento alle conseguenze negative che il decreto avrebbe avuto nella lotta alla mafia. "Mi ero consultato - ha aggiunto - sia con il procuratore di Palermo, Giancarlo Caselli, che mi disse che sarebbe stata più difficile la lotta alla mafia con quel decreto e alcune indagini sarebbero state impossibili, che con il capo della polizia Vincenzo Parisi che concordavano con me. Chiesi al gruppo della Lega in Parlamento di non emendare il decreto e di non votare la fiducia. Comunque quel decreto venne dopo pochi giorni ritirato. Il governo votò che non c'erano i requisiti di urgenza e decadde. Io ero pronto a dare le dimissioni da ministro. Su quanto dissi nell'intervista, nessuno mi contestò che avevo detto cose false".

Altro tema della deposizione di Maroni è stato l'avvicendamento al Sisde in quegli anni. "Quando ero ministro dell'Interno - ha spiegato - avevo avuto modo di leggere una serie di fascicoli del Sisde che riguardavano di fatto un'attività di dossieraggio nei confronti di esponenti dei vari partiti politici tra i quali uno sul mio predecessore al Viminale: Nicola Mancino. Ritenni di sollevare pubblicamente il caso anche con un intervento specifico in Senato".

Così Maroni decise di rimuovere Domenico Salazar che era direttore del Sisde. "Diversi nomi - ha spiegato - mi vennero poi segnalati per sostituirlo sia dalla presidenza del Consiglio che per il tramite del capo della polizia Vincenzo Parisi. Tra questi nomi c'era anche Mario Mori. Scelsi però autonomamente di proporre il generale dei carabinieri Gaetano Marino. Non mi era stato segnalato da palazzo Chigi e ciò ebbe un'influenza decisiva nella mia scelta di sparigliare le carte rispetto alle prassi e alle dinamiche sostanziali delle precedenti nomine e gestioni. Mi imposi dicendo che altrimenti mi sarei dimesso e il governo cadeva".

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