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«In Libia lunga fase di instabilità i governi europei devono cautelarsi»

Resta alta la tensione a Tripoli, dove mercoledì è sbarcato il capo del governo di unità nazionale libico sostenuto dalle Nazioni Unite. Il premier al-Sarraj ha proclamato l’entrata in funzione del proprio esecutivo nonostante l’opposizione di diverse fazioni nel Paese.

Sarraj è arrivato via mare da Tunisi, visto che lo spazio aereo era a rischio attacchi, e si è insediato in una base navale, in attesa che sia garantita la sicurezza in un’altra sede.

Poche ore dopo il suo arrivo sono scoppiati scontri a Tripoli e in diverse zone della Libia. Le strade principali sono state bloccate da gruppi armati, alcuni in divisa e altri in borghese armati di kalashnikov. Due compagnie aeree libiche, Afriqiyah Airlines e Libyan Airlines, hanno annunciato su Facebook di aver sospeso tutti i loro voli a Tripoli per «problemi di sicurezza». «Tuttavia non ci sono alternative: il governo di unità nazionale, è l’unica via per la pacificazione della Libia». Lo sostiene Arturo Varvelli, ricercatore dell’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale, esperto nelle relazioni tra Italia e Libia.

L’approdo di Feyez Serraj può rappresentare la svolta per la Libia?
«Non sono mai stato ottimista sulle vicende libiche degli ultimi cinque anni, e in ogni caso penso che la Libia sia destinata a una lunga fase di instabilità e che i governi europei che ne raccolgono direttamente le conseguenze debbano cautelarsi di fronte e questa realtà. Certo il lavoro delle Nazioni Unite e dell’inviato speciale Martin Kobler appare come una forzatura. Tuttavia, non mi pare che vi possano essere vie alternative al credere che questo governo possa progressivamente guadagnare un po’ di efficacia e reale capacità di guida del paese. Ci sono poche chance ma vanno giocate sino in fondo. Meglio riporre (per ora) i vari piani B: lo smantellamento in tre del Paese, il riconoscimento della Tripolitania, come suggerisce l’ex amministratore delegato di ENI Paolo Scaroni, o l’intervento armato. Il nuovo primo ministro e il consiglio presidenziale che lo accompagna e che compartecipa alle responsabilità di governo è ora l’unico riconosciuto dalle Nazioni Unite. Questo non è solamente un passo formale ma sostanziale. Certo, forse è meglio non parlare di legittimità».

Quali tappe hanno portato alla nascita di questo governo di unità nazionale?
«Il Gna (Governo di Unità Nazionale) nasce senza un’approvazione del parlamento di Tobruk che avrebbe dovuto sancire il passaggio di legittimità, e neppure sorge per via elettorale ma d’altronde il processo elettorale, come dimostrano le tre elezioni in due anni in contesti conflittuali come quello in Libia (2012-2014), non sono affatto garanzia di democrazia e stabilità. È un passo sostanziale perché ora la Banca Centrale e il fondo sovrano libico dovranno rispondere al Gna. Questa è la vera (e forse unica) speranza di riconciliazione politica del paese».

Quali possono essere le conseguenze economiche di questo processo in Libia?
«Poter aprire e chiudere il rubinetto della re-distribuzione della rendita potrebbe riconsentire al Gna di riavere “il coltello dalla parte del manico”. E potrebbe far riconsiderare la posizione delle forze politiche e delle milizie che si stanno opponendo. Piuttosto rappresentativa di questa possibilità è la posizione tenuta da alcuni dei principali miliziani di Tripoli, Abdul-Hakim Belhaj (in Italia poche settimane fa) e Abdul Rauf Kara, che piuttosto silenziosamente sembrano permettere l’insediamento del governo di Serraj. Bisognerebbe sorreggere questa possibilità di “band-wagoning”, stavolta potenzialmente positiva. Il conflitto militare potrebbe trasformarsi in negoziato politico (ed economico…). Certo le finanze libiche non versano in buone condizioni. Secondo le stime più recenti, la produzione libica di greggio, l’unica vera fonte di sostentamento, sarebbe al momento ridotta meno di un terzo del potenziale, a circa 450-500 mila barili al giorno a causa dei conflitti interni. Al momento il Pil libico è ancora circa la metà rispetto al periodo prebellico. Difficile sapere quanto l’economia libica potrà sopportare ancora la somma di due problemi: la riduzione delle esportazioni e i bassi prezzi di petrolio. La Banca centrale libica non rivela quante siano le riserve accumulate in passato e quanto sia ancora disponibile (forse ancora 70 miliardi?), ma certo dispone ancora di fondi che ora potranno formalmente essere a disposizione di Serraj. Si dovrà mettere questo governo nelle condizioni di prendere decisioni difficili, quelle che ogni governo libico del passato ha evitato di prendere, prima di tutto tagliare i finanziamenti a chi si oppone a un processo politico condiviso. Non è facile, ma è l’unica via. L’alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini ha garantito un pacchetto di aiuti da 100 milioni di euro. Le Nazioni Unite possono (per quanto servano) porre sanzioni personali su chi si oppone al Gna. Il generale Paolo Serra, consigliere militare di Kobler, dovrà continuare a mediare tra le milizie della Tripolitania».

Tra gli scenari che si prospettano, e che riguardano anche l’Italia, sembra allontanarsi l’ipotesi di un intervento militare.
«In questo contesto un intervento militare nel Paese appare forse un po’ più remoto. Il presidente del Consiglio Renzi, oggi a Washington, potrà chiedere tempo per verificare se questo tentativo delle Nazioni Unite possa consolidarsi e ricordare all’interlocutore americano che è difficile poter pensare ad un intervento militare se non si creano le condizioni per un po’ di stabilità “autoctona”. Solo allora si potrà sorreggere il Gna ed aiutarlo a consolidarsi e – contemporaneamente - a contrastare l’Isis. Le incognite sono ancora numerose, a cominciare dall’atteggiamento di Egitto e del protetto generale Khalifa Haftar. Nessuna via è semplice per vincere la partita libica e tutto, purtroppo, potrà finire ancora male, anche perché tutto ciò che si poteva sbagliare è stato sbagliato. Assi nella manica non ce ne sono più».

Un governo di unità nazionale, percepito come occidentale, potrebbe indirettamente favorire l’insorgere di nuove opposizioni jihadiste?
«Sì, è un’ipotesi concreta. D’altra parte, la propaganda dell’Isis si sta già muovendo in tal senso. Ma la Libia, storicamente, non si sente parte del Califfato, credo sarà difficile che i jihadisti riescano a raccogliere le opposizioni presenti nelle diverse parti del Paese per fare fronte comune contro Tripoli».

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