PALERMO. Parla per quattro ore: dei suoi rapporti con Bernardo Provenzano, una sorta di zio affettuoso che lo rimproverava bonariamente, della figura del padre, don Vito Ciancimino, il sindaco del sacco edilizio di Palermo vicino ai Servizi e "intimo" del boss corleonese. Accenna alla trattativa e alle protezioni di cui Provenzano avrebbe goduto grazie all'accordo stretto con pezzi dello Stato, agli affari di don Vito e a quando l'ex sindaco, negli anni '70, investì i suoi soldi in Milano 2, entrando di fatto in società con Silvio Berlusconi. Per più di quattro ore Massimo Ciancimino, superteste dei pm di Palermo che nel processo sul presunto patto tra istituzioni e clan veste anche i panni dell'imputato, racconta la sua verità.
A interrogarlo, davanti alla corte d'assise di Palermo che celebra l'atto d'accusa a mafiosi, ex ufficiali del Ros ed ex politici, è il pm Nino Di Matteo, il magistrato che più ha creduto e puntato sulla sua testimonianza. Rispetto al passato, quando vantava, non sapendo di essere intercettato, di poter fare il bello e cattivo tempo nella Procura di Antonio Ingroia, ha perso smalto. E la deposizione fiume al processo per favoreggiamento alla mafia all'ex capo del Ros Mario Mori, imputato anche nel dibattimento trattativa e ritenuto trait d'union del patto lo Stato e la mafia, sembra un ricordo lontano. Stanco, decisamente sotto tono, il figlio prediletto del potente sindaco dc chiede di interrompere l'esame più volte. "Non sto bene", dice ai giudici. Poi riprende ma si vede che è affaticato. La sua ricostruzione parte dagli anni '70.
Quando Bernardo Provenzano, compaesano di don Vito e latitante da un decennio, frequentava casa Ciancimino. "Settimanalmente", dice. Lui all'epoca lo conosceva come "ingegnere Lo Verde". Solo dopo tempo, vedendo una ricostruzione al pc del volto invecchiato, racconta, avrebbe riconosciuto nell'ingegnere Lo Verde il capomafia ricercato. "Ricordati che da questa situazione non ti può salvare nessuno", gli avrebbe detto il padre capendo che sapeva chi fosse il commensale abituale. Negli anni '80, quando il contrasto alla mafia divenne più serio, gli incontri divennero cauti. Ma, secondo il teste, don Vito e il padrino di Corleone si sarebbero visti anche negli anni delle stragi mafiose e più volte si sarebbero incontrati a Roma, in casa dell'ex sindaco. "Provenzano si muoveva liberamente grazie a degli accordi che erano stati stretti in anni passati, me lo disse mio padre", racconta. Don Vito stimava il boss.
"Lo conosceva da quando era uno dei 'picciotti' di Luciano Liggio", dice. Diversa l'opinione che Ciancimino senior aveva di Totò Riina che, all'udienza di oggi - anche lui è imputato al processo - ha assistito in videoconferenza dal carcere di Parma, steso su una lettiga per problemi renali: "Riteneva Riina una persona limitata intellettualmente, un doppiogiochista e un uomo aggressivo. Non ne aveva alcuna stima, lo chiamava pupazzo". Nel lungo racconto ai giudici il teste confessa di avere fatto per lungo tempo da "postino" della corrispondenza che il padre e Provenzano si scambiavano. E accenna ai rapporti dell'ex sindaco coi Servizi. Rapporti che risalivano agli anni '60, durati fino alla morte di Ciancimino senior. Non può mancare il riferimento al "signor Franco", personaggio che avrebbe fatto da tramite tra gli 007 e don Vito, che il teste avrebbe incontrato più volte.
E proprio alla figura dell'agente, mai identificato dai pm, farebbero riferimento i verbali di interrogatorio di Ciancimino depositati oggi al processo, ancora top secret. Provenzano e don Vito, inoltre, sarebbero stati soci in diversi affari, come quello della metanizzazione grazie al quale il boss prendeva una percentuale della "messa a posto" per la realizzazione dei lavori e parte delle quote dell'ex sindaco. "Raramente tirava fuori soldi suoi - dice Ciancimino del padre - Ma fece un'eccezione quando si trattò di investire, grazie all'intermediazione di Stefano Bontade e Marcello Dell'Utri, nella realizzazione di Milano 2 da parte di Silvio Berlusconi". Il teste racconta di aver saputo di incontri a Milano tra il padre e l'allora imprenditore lombardo. "Per l'ennesima volta Massimo Ciancimino ha rilasciato dichiarazioni totalmente infondate e già smentite in modo radicale ed inoppugnabile nelle sedi processuali", commenta il legale dell'ex premier, Nicolò Ghedini.
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