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De Riggi: denunciare gli estortori non solo è giusto, ma è anche utile

PALERMO. Rieccola, la mafia dal volto in apparenza rassicurante di una donna, una trentottenne che ha cinque figli, uno dei quali piccolissimo, ma è anche nonna: boss in gonnella, espressione un po’ datata e soprattutto abusata, è forse una definizione che sta stretta a un personaggio come Teresa Marino, capace di coordinare un’organizzazione in difficoltà, alle prese anche con le secche della crisi economica. E la crisi i boss la combattono a modo loro, vessando i commercianti e gli imprenditori, tra i quali affiorano sempre più segnali di insofferenza e di ribellione. Dopo i blitz delle scorse settimane, riguardanti Bagheria, la Guadagna e Santa Maria di Gesù, i carabinieri assestano un altro colpo a Cosa nostra, prendendo di mira un altro dei mandamenti più forti e muniti di una solida tradizione mafiosa come Porta Nuova. Emergono nuovi interessi, soprattutto nel campo — molto redditizio — del commercio dei prodotti ittici. «La mafia cerca tutte le risorse per continuare ad esercitare il proprio potere», dice il colonnello Giuseppe De Riggi, il comandante provinciale dei carabinieri, coordinatore dell’operazione Panta Rei, che ieri ha portato a 38 fermi, ordinati dalla Direzione distrettuale antimafia del capoluogo dell’Isola. De Riggi elogia anche i segnali positivi arrivati da coloro che, incoraggiati dall’azione massiccia di magistratura e forze dell’ordine, hanno trovato il coraggio di contribuire all’indagine.

La presenza di una nuova donna boss — accusa che pende sul capo di Teresa Marino — segue un trend ormai consolidato. È la mancanza di uomini disponibili, dovuta ad arresti e crisi delle vocazioni, che spinge i capi a utilizzare le loro donne, o c’è dell’altro?
«Con l’operazione “Torre del Diavolo”, condotta la settimana scorsa dal Ros, Raggruppamento operativo speciale, e dal Comando provinciale carabinieri di Palermo, abbiamo registrato l’assottigliarsi delle fila dell’organizzazione criminale. L’accresciuto ruolo delle donne di mafia è anche il segno del fatto che la criminalità organizzata va alla ricerca di tutte le risorse, per continuare ad esercitare il proprio potere con autorevolezza».

E in questo spiccano le figure femminili.
«Direi di sì. Perché l’operazione “Panta Rei” adesso mette anche in evidenza un altro aspetto: la capacità delle donne di assicurare sostegno alle famiglie dei detenuti con una sensibilità che è garanzia di affidabilità. Naturalmente questa situazione non ci deve far dimenticare quelle figure femminili che invece hanno fatto una scelta diametralmente opposta, trovando il coraggio di ribellarsi all’appartenenza mafiosa».

Dalla vostra operazione viene fuori anche un altro dato: il racket non demorde. Nonostante le numerose operazioni vostre, della polizia, della Finanza. È un segno che la macchina mafiosa deve comunque alimentarsi. Qual è il rimedio possibile?
«Certamente le famiglie mafiose sopravvivono accumulando rendite illecite. Tuttavia esse vivono soprattutto del loro radicamento territoriale. L’attività estorsiva non è solo un processo parassitario di accumulazione, ma è e resta del tutto funzionale all’esercizio del potere mafioso sul territorio».

La logica è questa: faccio le estorsioni, dunque esercito il potere.
«È la prospettiva mafiosa: l’estorsione è parte integrante della stessa identità della “famiglia”. La pressione della magistratura e delle forze dell’ordine sgretola progressivamente questa identità, con riflessi non solo sul piano giudiziario, ma anche per il rinnovamento della coscienza civile. Mi piace ricordare una frase del giornalista e scrittore Attilio Bolzoni: agli eredi degli uomini d’onore, negli anni a venire, resteranno probabilmente solo paure e incertezze».

Ce lo auguriamo. Nell’attesa, un segnale positivo è rappresentato dalla rivolta dei commercianti. Anche in un ambiente fortemente condizionato come quello di Porta Nuova.
«In effetti, registriamo apprezzabili segnali di rinnovamento. Merito dell’incisiva attività di contrasto, ma anche dell’efficacia degli strumenti a sostegno degli imprenditori che vogliano intraprendere un percorso di legalità: non ultima, va tenuta presente pure l’indubbia maturazione dell’impegno civile contro la cultura mafiosa. Tutto questo ha alimentato comportamenti virtuosi. A questa progressiva presa di coscienza, tuttavia, non è estraneo anche il riconoscimento della convenienza a reagire, specie nell’attuale difficile congiuntura economica. Denunciare non solo è giusto, è utile».

Nel controllo del mercato del pesce, settore in cui finora non erano emersi condizionamenti particolari, spiccano i rapporti con gli imprenditori veneti, che appaiono comunque consapevoli dei meccanismi e non li denunciano.
«Rendersi conto di una posizione dominante sul piano commerciale non significa essere consapevoli dell’esistenza di interessi criminali, specie quando le distanze appannano le prospettive. Resta il problema di un mercato sostanzialmente “drogato”, che non restituisce fiducia a chi voglia avviare relazioni commerciali. Si tratta di un danno molto rilevante e concreto per tutti gli imprenditori siciliani onesti».

Ancora una volta è confermata la crisi economica dei clan, in cui Teresa Marino cerca di mettere ordine.
«La crescente azione repressiva ha incrementato sensibilmente il numero delle famiglie dei detenuti da sostenere. Nel contempo, la crisi economica rende più scarsa la liquidità circolante. Insomma, le casse di cosa nostra potrebbero non essere più così adeguate alle esigenze cui si rivolgono e comunque sono vuote tanto quanto quelle degli operatori economici dai quali viene riscosso il pizzo».

Al momento dell’esecuzione dei provvedimenti cautelari, il saluto del Borgo ai Tantillo, che sono tra i fermati, ribadisce il potere e il controllo del territorio.
«Il codice mafioso ricerca affiliazione e fedeltà. Il gesto registrato si iscrive appieno in questo codice comunicativo. La mafia è prima di tutto una questione di cultura di appartenenza. Quella stessa appartenenza che conduce a raid violenti di pestaggio o al più cruento degli omicidi, come nel caso Sciacchitano».

Il delitto al centro dei fermi dell’operazione “Torre del diavolo” della settimana scorsa. Ma qual è lo stato della lotta contro Cosa nostra?
«Cosa nostra continua ad essere un’associazione unitaria che agisce con regole precise. La situazione richiede un monitoraggio costante, grazie al quale oggi non rincorriamo più gli eventi e siamo in grado di leggere le dinamiche sul territorio, intervenendo in tempi rapidi. La lotta alla criminalità organizzata è in definitiva una questione di metodo e di perseveranza. A tal proposito voglio esprimere una nota di particolare merito per i miei uomini, che continuano con costanza a credere e a fare concretamente la lotta alla mafia».

Però il dato inquietante è che l’organizzazione non si ferma e cerca di infiltrarsi (invano) anche in un appalto bandito da un’amministrazione come quella di Bagheria, in mano ai Cinquestelle.
«Le acquisizioni investigative dell’operazione Panta Rei confermano l’interesse della criminalità organizzata per la gestione dei rifiuti, specie in un contesto costantemente emergenziale. D’altra parte la raccolta dei rifiuti su strada e il loro trasporto in discarica presentano connotazioni che favoriscono indubbiamente il condizionamento mafioso. Si tratta, infatti, per lo più, di imprese di piccole e medie dimensioni, che offrono servizi a bassa specializzazione, fortemente legate al territorio ed essenzialmente sostenute dal finanziamento pubblico. In questo caso, il tentativo di gestione illecita è stato respinto. Resta tuttavia un segnale importante di come cosa nostra voglia ricercare nuovi spazi di vantaggio nell’area grigia delle collusioni e delle relazioni corruttive».

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