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Altavilla: "Chi denuncia difende il lavoro dalla prepotenza"

PALERMO. «Denunciare conviene, è utile. Gli operatorieconomicidevonosape- re che le istituzioni e lo Stato sono al loro fianco e possono garantire una risposta in tempi rapidi». Il colonnello Salvatore Altavilla, comandante del reparto operativo dei carabinieri di Palermo che ha coordinato l’ultima operazione antimafia, sottolinea l’importanza per imprenditori e commercianti di trovare il coraggio di ribellarsi al racket delle estorsioni.
Colonnello Altavilla, una quarantina di imprenditori che denunciano il pizzo in un antico feudo di mafia come quello di Bagheria è un segnale più che incoraggiante per chi conduce la lotta a Cosa nostra. Cosa è cambiato?
«In  effetti, registriamo apprezzabili segnali di rinnovamento. L’incisiva attività d contrasto della magitratura e delle forze dell’ordine, l’efficacia degli strumentiasostegno degli imprenditori che vogliano intraprendere un percorso di legalità e, non ulti-
ma, l’indubbia maturazione dell’impegno civile contro la cultura mafiosa hanno alimentato comportamenti virtuosi. Si tratta anzitutto di una scelta di dignità: l’affermazione del proprio lavoro contro la prepotenza mafiosa. A questa progressiva presa di coscienza, tuttavia, non è estraneo anche il riconoscimento della ”convenienza” a reagire, specie
nell’attuale difficile congiuntura economica. Denunciare non solo è giusto, è utile. Di contro, registriamo ancora l’atteggiamento di taluni operatori economici che, malgrado i fatti documentati dalle indagini, negano l’evidenza delle estorsioni subite, mantenendo una condotta a dir poco sconfortante».
La risposta dello Stato contro la criminalità oggi appare più veloce ed efficace. C’è maggiore fiducia nelle istituzioni da parte di commercianti e imprenditori?
«La magistratura e le forze dell’ordine, nel tempo, hanno inciso profondamente su quella che potremmo chiamare la classe dirigente di Cosa nostra. Accanto ai blitz che hanno portato all’arresto di centinaia di esponenti mafiosi e fatto luce su innumerevoli reati, lo Stato ha sottratto a Cosa nostra importanti patrimoni. In definitiva, la mafia si è sempre alimentata nel mito dell’invincibilità ma queste attività di contrasto hanno dimostrato e dimostrano
che non sono invincibili. Tutto questo si riflette non solo sul piano giudiziario, ma certamente produce importanti riflessi positivi sulla coscienza civile, sulla fiducia dei cittadini».

In questo contesto quale ruolo giocano le associazioni antiracket?

«L’incisività dell’intervento dello Stato è certamente amplificata dal contributo delle associazioni anti-racket. Esse rappresentano anzitutto la forma organizzata di quella sensibilità civile la cui maturazione ha favorito la reazione di taluni imprenditori, certamente non più isolati nella loro scelta di valore civico. Sul piano operativo, poi, offrono un approccio discreto e accorto in grado di attenuare quei ”costi psicologici” che derivano dal rifiuto di soggiacere alla pressione estorsiva: timore per sé stessi e per i propri familiari e dipendenti, ansia per i riflessi sul- la propria attività. Si tratta, in definitiva, di un aiuto importante che aggiunge una maglia rilevante alla rete della sicurezza».

Il pizzo resta uno dei principali strumenti di Cosa nostra per far cassa?
«La richiesta estorsiva trascende il suo valore economico. Il pizzo infatti è il segno tangibile dell’”autorità” mafiosa. Ciò posto, certamente esiste anche un bisogno economico da soddisfare per il sostentamento degli affiliati, liberi e detenuti, e delle loro famiglie. Per questo, l’organizzazione criminale ricerca anche altre forme di imposizione non meno odiose: dall’imposizione delle forniture, all’assunzione forzosa di lavoratori».

È un racket, così come emerge dall’inchiesta, spietato. Che ha mandato sul lastrico numerosi imprenditori. Cosa consiglia di fare a quanti ancora oggi subiscono il giogo delle estorsioni?
«Finalmente le vittime del pizzo che si trovano davanti al bivio tra la mafia e la legalità, possono scegliere la strada a senso unico, cioè quella della legalità. A chi possa essere preso dallo sconforto in una situazione certamente difficile anche dal punto di vista umano, insistiamo nel dire che non esistono vicoli ciechi. Basta tornare indietro, ripercorrere i propri passi per incontrare su questa strada un carabiniere, un rappresentante dello Stato, un operatore dell’antiracket pronto a sostenere questa scelta».
In tutto il Palermitano i carabinieri hanno assestato negli ultimi mesi durissimi colpi a Cosa nostra. Qual è lo «stato di salute» della mafia?
«Le operazioni condotte dall’Arma – Iago (2014), Apocalisse (2014) e Verbero (2015) nel capoluogo, Nuovo Mandamento(2013), Grande Passo(2014) e Reset in provincia – delineano un fenomeno criminale operativo e pervasivo. La diversità delle aree territoriali interessate e il numero degli arresti eseguiti dimostrano infatti la perdurante capacità di Cosa nostra di incidere sul tessuto economico, forte di un cospicuo numero di sodali, più giovani d’età rispetto al passato, ma non per questo di minore spessore criminale».
Qual è, secondo lei, il segno più visibile del fatto che anche in territori della provincia pesantemente condizionati da Cosa nostra il muro di omertà e di paura si va sgretolando?
«L’indicatore più rilevante di questa decisa inversione di tendenza ci viene dal calo del numero di estorsioni consumate cui fa da contro altare il significativo aumento di quelle tentate, che ci pongono dinnanzi a una Cosa nostra pervicace, insistente, ma sicuramente meno convincente ed incisiva rispetto al passato».
Una mafia indebolita dalle operazioni delle forze dell’ordine, dalle collaborazioni con la giustizia dei cosiddetti ”uomini d’onore” e ora anche da parte delle sue vittime, ma sempre pronta a tentare di imporre il suo controllo sul territorio e sull’economia. Cosa nostra da decenni ha dimostrato di essere capace di rigenerarsi, sarà in grado di farlo anche adesso o è destinata a essere sconfitta definitivamente?
«Di strada da fare ce n’è ancora tanta, ma siamo usciti da quei percorsi accidentati di un tempo e da alcuni anni abbiamo imboccato una strada asfaltata. Sarà ancora lunga da percorrere, impegnativa, perché il fenomeno Cosa nostra ancora incide sistematicamente sul tessuto economico e su quello sociale. In Sicilia la nostra attivià d’indagine va avanti senza soste. Il sinergico lavoro che ha portato agli ultimi arresti dimostra come lo strumento operativo sia assolutamente vincente e in grado di condurre alla fine del fenomeno».

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