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Stato-mafia, i giudici chiamano Napolitano: "Non ho difficoltà a testimoniare"

La Corte d'assise di Palermo ha ribadito la necessità di ascoltare il presidente della Repubblica come testimone

PALERMO. La Corte d'assise di Palermo  ha ribadito la necessità di sentire come testimone al processo sulla trattativa Stato-mafia il capo dello Stato Giorgio Napolitano. La deposizione, chiesta dai Pm, era già stata ammessa, ma dopo la lettera inviata ai giudici da Napolitano, alcuni legali ne avevano chiesto la revoca.

In assenza di una norma specifica sulla deposizione del capo dello Stato, la Corte applicherà l'articolo 502 del Codice di Procedura penale che prevede l'esame a domicilio del teste che non può comparire in udienza. Alla testimonianza, di cui ancora non è stata fissata la data, non parteciperanno né il pubblico né gli imputati, ma solo i legali e la procura.

Intanto l'ex segretario della Dc Ciriaco De Mita ha deposto al processo sulla trattativa Stato mafia: "Dopo l'omicidio di Lima, Falcone volle parlarmi. Ci vedemmo a Roma e lui mi disse che la mafia, dopo la sentenza della Cassazione sul maxi processo, doveva organizzarsi ed avrebbe elevato il livello dello scontro con lo Stato".

"Falcone mi disse - ha aggiunto- che ci saremmo dovuti preparare a una escalation dello scontro è aggiunse che Lima non era mafioso". A Falcone de Mita chiese perché quelle cose non le scrivesse e lui rispose: “Perché in questo momento non passano".

«Prendo atto dell'odierna ordinanza della Corte d'Assise di Palermo. Non ho alcuna difficoltà a rendere al più presto testimonianza - secondo modalità da definire - sulle circostanze oggetto del capitolo di prova ammesso». Così Giorgio Napolitano in una dichiarazione.

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