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Comuni in dissesto, inutili gli appelli al Tar

La Cassazione: le amministrazioni dichiarate in rosso dalla Corte dei Conti non possono appellarsi ai giudici amministrativi. Sarà possibile ricorrere solo alla sezione unita della magistratura contabile. Nell’Isola sono già più di venti gli enti locali fuori dai parametri economici

PALERMO. I Comuni con i bilanci in rosso non potranno evitare che la Corte dei Conti dichiari il dissesto rivolgendosi al Tribunale amministrativo regionale. È la sintesi di una pronunzia delle sezioni unite della Corte di Cassazione, che ha messo fine a un braccio di ferro lunghissimo, iniziato in Sicilia ai primi del 2013 e andato avanti fino a qualche giorno fa. La sentenza avrà effetti immediati su tutti quei Comuni per cui era stato dichiarato il dissesto e che, invece di attivare le procedure di risanamento previste nel caso di conti in tilt, avevano cercato di evitare sanzioni ricorrendo al Tar. In primis è il caso di Cefalù e Ispica ma la stessa procedura stava per estendersi a Milazzo, Messina e avrebbe potuto riguardare pure Bagheria. Anche se i Comuni in rosso sono già oltre 20 e dunque il caso a macchia di leopardo rischiava di allargarsi mettendo a rischio l’equilibrio fra poteri. In pratica, al dissesto si arriva quando la Corte dei Conti muove rilievi sul bilancio e li comunica alla Regione (in passato al Prefetto). Che a quel punto nomina un commissario per formalizzare il tilt contabile e avviare le procedure di riordino del bilancio: è possibile anche l’aumento delle tasse per coprire i buchi. Ovviamente ciò si traduce in una perdita di poteri del sindaco e della giunta che recentemente si sono opposti alla dichiarazione con cui la magistratura contabile avviava l’iter per il dissesto. È il caso, appunto, di Cefalù: il sindaco Rosario Lapunzina si è rivolto al Tar. I giudici amministrativi hanno inizialmente concesso la sospensiva del provvedimento con cui la Corte dei Conti, guidata in Sicilia da Maurizio Graffeo, avviava l’iter per il dissesto. La pronunzia - seppure non nel merito - sembrava destinata a far scuola e stava provocando altri ricorsi da parte di Comuni che si trovano nelle stesse condizioni di Cefalù. Un modo per frenare i controlli contabili sui bilanci.
Ma la Corte dei Conti, tramite l’Avvocatura dello Stato, si è rivolta alle sezioni unite della Cassazione. La tesi del presidente Graffeo è che il Tar avesse invaso competenze della magistratura contabile. Ed è una tesi accolta dalla Cassazione, secondo cui il Tar non può giudicare il ricorso dei Comuni. I sindaci possono rivolgersi al massimo alla stessa Corte dei Conti nazionale che deciderà a sezioni unite: «La giurisprudenza in ordine all’impugnazione della delibera con cui la Corte dei Conti accerta che ci sono le condizioni per dichiarare il dissesto finanziario - si legge nella pronunzia della Cassazione - spetta alle sezioni riunite della Corte dei Conti».
La pronunzia fa già giurisprudenza, chiude un caso già esploso ed evita che molti altri esplodano: nel giudizio si è inserito infatti anche il Comune di Ispica, guidato da Marco Santoro, che si trova nella stessa situazione.
Il caso ha effetti pratici anche per i cittadini dei Comuni in rosso. La dichiarazione di dissesto arriva quando ogni soluzione è ormai impossibile e impedisce infatti che il Comune possa accedere ai benefici del piano di rientro pluriennale che comportano sacrifici (in termini fiscali) meno pesanti e comunque diluiti nel tempo. Ma appellarsi contro questa dichiarazione rinvia il percorso di risanamento, nel caso di Cefalù di quasi due anni, e rischia di portare a buchi di bilancio anche maggiori.

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