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Romeo: "A Palermo cresce l'insensibilità"

Il cardinale oggi pomeriggio incontra gli amministratori locali della Diocesi. Ecco un’anticipazione dei temi che verranno trattati. "Le emergenze si accumulano e però vediamo che in consiglio comunale, fra difficoltà a riunirsi e beghe politiche, si ritarda pure l'approvazione dei bilanci"

PALERMO. «Ci abbiamo messo quattro anni e mezzo a dare il colpo di chiave che azionasse il motore. Spero solo che si capisca che, in una situazione così grave, bisognerà parlare di problemi reali, senza dimenticarsene il giorno dopo». Paolo Romeo crede fermamente nell'incontro voluto con tutti gli amministratori locali della sua diocesi, che si riuniranno oggi pomeriggio al Don Bosco Ranchibile.
Alla vigilia del suo quinto anniversario da capo della Chiesa palermitana (il 10 febbraio del 2007 subentrò a Salvatore De Giorgi), il cardinale ha deciso di riunire attorno sé sindaci e assessori, «perché le istituzioni religiose e civili devono avere un unico interesse, cioè il bene della persona, senza cadere nella banale anatomia della differenza fra spirito e corpo. E al vescovo non possono bastare i discorsi delle tradizioni religiose, da quelli di piazza Marina nei giorni di Santa Rosalia o di piazza San Domenico in occasione della processione dell'Immacolata, fino all'omelia in municipio nella messa di Capodanno. Non basta il richiamo pubblico, che a volte può sembrare un giudizio spirituale pronunciato da un piedistallo. Serve un dialogo vero, per affrontare insieme problemi ed emergenze».

NON MANCHERANNO DUNQUE I TEMI SU CUI DISCUTERE...
«Giovanni Paolo II diceva spesso che la Chiesa si fa voce di chi non ha voce. In Italia la libertà di voce è in teoria garantita a tutti, ma di fatto spesso sopraffatta dalla cronaca giornaliera o dalle dinamiche di una politica scollata dai problemi reali. Chi ascolta oggi la voce degli anziani che con la pensione sociale non arrivano alla fine del mese? Chi ascolta quel 30% di giovani disoccupati, che non sono corporati e non riescono a fare seri programmi di vita?».

PROBLEMI CHE PERÒ NON RIGUARDANO SOLO LA REALTÀ PALERMITANA...
«Qui però si aggiungono al degrado sociale che registriamo nella nostra città. Chi ascolta il grido comune di una popolazione che si confronta tutti i giorni con l'abbandono, o la non cura, del territorio? Provo a farmi portavoce delle loro istanze, anche se purtroppo questi temi lasciano il tempo che trovano. Perché molto spesso, all'indomani di un discorso del vescovo, che si può liberamente criticare o apprezzare, di quegli stessi problemi non si parla più, magari con le cronache e i fatti che dirottano altrove l'attenzione. Pur essendo problemi vari, annosi e irrisolti».

PER ESEMPIO?
«Da cinque anni dico che la lotta all'inquinamento non si risolve chiudendo al traffico qualche spicciolo di centro o istituendo le targhe alterne. Bisogna eliminare dalla città il traffico pesante che si posta da un'autostrada all'altra. Si progettano ponti sullo Stretto e si parla di Tav, ma qui non si riescono neanche a realizzare i 150 metri delle carreggiate laterali del ponte Corleone sulla circonvallazione. Penso al degrado strutturale delle scuole: invece di effettuare i lavori in estate, a lezioni ferme, si costringono i ragazzi a studiare in condizioni disagevoli. Penso allo spreco di denaro per i tanti uffici pubblici ospitati in locali in affitto, spesso inadeguati. E, a proposito di denaro, non si può continuare a sperare solo in quello che arriva da fuori, la costruzione  di un futuro migliore deve passare soprattutto dalle nostre mani».

COME HA VISTO CAMBIARE PALERMO IN QUESTI 5 ANNI?
«L'impressione è che sia cresciuta l'insensibilità. Le emergenze si accumulano e però vediamo che in consiglio comunale, fra difficoltà a riunirsi e beghe politiche, si ritarda pure l'approvazione dei bilanci».

QUAL È IL SUO RAPPORTO COL SINDACO CAMMARATA E IN GENERALE CON GLI AMMINISTRATORI DELLA SUA DIOCESI?
«Quelli istituzionali sono sempre stati molto corretti e diretti, ho sempre avuto la loro attenzione. Si tende però ad esasperare la separazione fra Chiesa e Stato. È vero che l'arcivescovo si occupa di curare le anime, ma anche io sono un cittadino italiano e se c'è un'inefficienza, a subirne le conseguenze è il mio corpo prima ancora del mio spirito».

FRA POCHI MESI SI VOTA. CHE MESSAGGIO CONSEGNA AL FUTURO SINDACO?
«Intanto intendo sottolineare che l'incontro con gli amministratori è solo cronologicamente vicino alla scadenza elettorale e non ha alcun legame con essa. È pur vero però che il clima elettorale è sempre latente. Da quando sono qui ho sempre sentito parlare delle possibili dimissioni del sindaco o di una Regione che non si sa se tiene o meno. Un sistema di insicurezza e instabilità che riguarda l'intero Paese. Negli Usa, quando viene eletto un presidente, tutta la popolazione si identifica con lui e il suo avversario di fatto torna nell'anonimato. In Italia invece, come ho sentito dire ad un politico in tv un po' di tempo fa, quando si perdono le elezioni si cambia solo il nome del partito, ma le persone restano sempre le stesse. È innegabile che la Chiesa dirà la sua parola sulla situazione della città e rappresenterà le sue aspettative. Ma io sento circolare solo nomi di candidati o aspiranti candidati, mentre non sento parlare di programmi, concreti e condivisi. Serve qualcuno che faccia sognare questa città e ci dia la speranza che i sogni possano diventare realtà, senza cristallizzarsi sui soliti temi, a cominciare da quello del precariato. Un sistema utilizzato come ammortizzatore sociale, che non ha creato un solo posto di lavoro e ha appesantito gravemente i bilanci pubblici. Purtroppo invece notiamo una scollatura sempre più profonda fra classe politica e paese reale. Con la prima che si occupa dei suoi equilibrismi e dei suoi interessi senza avere alcuna base sul paese reale e dunque senza affrontarne concretamente i problemi».

C'È UN NESSO FRA QUESTO SCOLLAMENTO E UN SEMPRE PIÙ PALPABILE CLIMA DI ILLEGALITÀ DIFFUSA?
«Personalmente credo che spesso il tema della legalità sia stato utilizzato come una bandiera politica. Si accusa il centrodestra di fare compromessi con il mondo dell'illegalità. Il centrodestra replica che mai come sotto i propri governi si sono registrati successi così importanti nella lotta all'illegalità. Si controreplica dicendo che il merito è di magistrati e forze dell'ordine, si contro-controreplica chiedendo allora dove fossero magistrati e forze dell'ordine 15 anni fa. Ecco, queste diatribe a me fanno paura. Perché nel frattempo va in crisi l'economia mondiale, ma non vanno certo in crisi il mondo della droga, della prostituzione, del gioco, dell'abuso di alcol, che sono anzi tutti settori in crescita esponenziale. Una volta i sistemi criminali attaccavano le istituzioni, oggi i protagonisti di quelle stagioni sono tutti in carcere. E si punta invece sulla conquista di un forte potere economico, come dimostrano i grandi patrimoni accumulati e poi sequestrati».

DAVANTI A TUTTO CIÒ SI SENTE PIÙ ARRABBIATO, SCORAGGIATO, DISILLUSO?
«Arrabbiato no. La rabbia peraltro attiene a dinamiche pericolose che molto spesso nella gente fragile ed esasperata sfocia in violenza. Certamente molti elementi porterebbero allo scoraggiamento. Che voglio invece trasformare in stimolo. Dico che il futuro dipende da ciascuno di noi e voglio spingere tutti quanti a pensarlo. Palermo e la Sicilia ce la possono fare. Ma ce la devono fare palermitani e siciliani».

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