
PALERMO. "Tendere all'accertamento della verità è un valore irrinunciabile, dovrebbe essere un imperativo categorico da seguire anche dopo tanti anni". Lo ha detto il procuratore Piero Grasso, intervenuto a margine di un incontro allo Steri di Palermo sui collaboratori di giustizia. Interpellato sulla sospensione della pena per i sette ergastolani accusati per la strage di via D'Amelio, Grasso ha aggiunto: "La sospensione della carcerazione dei condannati in via definitiva segue la giurisprudenza della Cassazione che prevede non si possa fare un giudizio di revisione se prima non diventa definitivo l'accertamento dei fatti che portano alla revisione. E' una posizione estremamente garantista che però in relazione alle cose accertate è corretta, del resto sono state scarcerate persone che hanno scontato parecchi anni di carcere e taluni di questi, pare, anche ingiustamente".
E sulle dichiarazioni del collaboratore Stefano Lo Verso, il procuratore ha dichiarato: "I rapporti tra mafia e politica non sono mai cessati, non mi pare nulla di nuovo. Lo Verso parla di alcuni anni fa, sono solo le indagini che possono scoprire se si tratta di rapporti 'indecenti'. Ricordo ancora i pizzini di Bernardo Provenzano, dove qualcuno gli chiedeva indicazioni di voto; purtroppo, non abbiamo potuto trovare la risposta". "E' importante scoprire la verità - ha aggiunto Grasso - non solo sotto il profilo degli esecutori materiali. Da anni chiediamo a tutta la società di fare chiarezza, 'chi sa qualcosa, parli'. Il problema è riuscire da un punto di vista giudiziario a trovare anche le prove. E' arrivato il momento in cui non si può più restare indifferenti. Potrebbe parlare qualcuno che appartiene alla criminalità organizzata o altri sistemi, alla società in generale. Credo e continuo a credere nella ricerca della verità. Come si può restare indifferenti dopo aver visto l'asfalto diventare rosso per il sangue dopo la strage di Capaci? O dopo aver visto i brandelli di carne del giudice Borsellino? La collaborazione serve da parte di tutti, specie dopo tanti anni, in cui spariscono misteriosamente le agende ed è più difficile trovare la verità".
"Speriamo - ha aggiunto - che qualcuno abbia una resipiscenza per fornire qualche ricordo. Ho avuto il privilegio di sentire per primo Gaspare Spatuzza in questa sua manifestazione di resipiscenza. Anche lui ci ha messo tanti anni. Se l'avesse fatto subito dopo la cattura, come aveva intenzione di fare in un primo momento, forse sarebbe cambiata tutta la storia del processo e della mafia. Purtroppo ci sono tempi che non dipendono dalla magistratura, ma dalla possibilità di accertare queste realtà, partendo da alcuni elementi, seppure indiziari". "Se qualche mafioso si scrollasse di dosso questa regola dell'omertà - ha aggiunto Grasso - forse potremmo ricominciare tante indagini. Parecchi omicidi eccellenti sono rimasti coperti dal mistero: penso agli omicidi La Torre, Mattarella, Dalla Chiesa. Il monito 'chi sa parli', che ripetiamo da anni, è rivolto a tutta la società".
Grasso è tornato anche a parlare delle intercettazioni. "Le conversazioni del professor Lapis con tre politici siciliani (Carlo Vizzini, Saverio Romano e Salvatore Cuffaro) non furono trascritte né comunque segnalate dai carabinieri incaricati delle indagini e dell'esecuzione delle intercettazioni, come dagli stessi dichiarato in atti processuali. Pertanto, né i titolari del procedimento, i colleghi Pignatone, Lari, Prestipino, Sava e Buzzolani, né tantomeno io, venimmo mai a conoscenza dell'esistenza di quelle intercettazioni", ha detto il procuratore in merito all'articolo di Marco Travaglio "Non nominare il pm invano" pubblicato dall'ultimo numero de L'Espresso.
Nell'articolo, Travaglio afferma che le intercettazioni di Lapis (che ora la procura di Palermo ha chiesto al Parlamento di poter utilizzare nell'ambito dell'inchiesta sulla presunta corruzione dei tre politici, che avrebbero ricevuto soldi da Massimo Ciancimino) "risalgono al 2003-2004, quando si indagava su Ciancimino jr per il riciclaggio del tesoro del padre". "Perché sono giunte alle Camere soltanto ora, sette anni dopo?" chiede Travaglio sottolineando che in quegli anni "l'indagine è coordinata dall'allora procuratore Piero Grasso e dal fedele aggiunto Giuseppe Pignatone. Che usano le intercettazioni per incriminare e far arrestare il giovane Ciancimino ma non per indagare i tre politici. Perché?". Dal canto suo Grasso ricorda inoltre che il procedimento "si é concluso con la condanna di Ciancimino e di Lapis confermata dalla Cassazione" e che "dal luglio 2004 Cuffaro (poi condannato in via definitiva n.d.r.) era indagato dalla Procura di Palermo" (all'epoca diretta dallo stesso Grasso n.d.r.).
Il procuratore fa notare inoltre che il ministro Romano è stato indagato nel 2005 dall'ufficio inquirente palermitano prima che Grasso fosse nominato capo della Dna e che l'archiviazione del fascicolo è stata chiesta solo nel 2011. "E' stato il gip - precisa - a rigettare la richiesta". Il magistrato specifica anche che la circolare a sua firma richiamata dall'articolo (scrive Travaglio che nella circolare Grasso "ordinava di non citare mai nei probgliatti e nelle richieste di proroga le telefonate in cui comparissero le voci di parlamentari prima che il Parlamento avesse concesso l'autorizzazione") "dava corretta esecuzione alla normativa allora vigente, emanata proprio per evitare l'inevitabile acquisizione agli atti, e quindi la pubblicazione, di conversazioni in cui i parlamentari erano interlocutori di soggetti intercettati". La legge venne cambiata solo dopo la sentenza della Corte Costituzionale del novembre del 2007. "Contrariamente a quanto prospettato nell'articolo, - spiega - la circolare disponeva che la polizia giudiziaria, prima di riversarne il contenuto nelle informative delle indagini delegate, riferisse per iscritto sulle intercettazioni in cui fossero state registrate conversazioni di parlamentari proprio al fine di valutare la possibilità di richiedere alla Camera di appartenenza l'autorizzazione all'utilizzazione"
Grasso è anche intervenuto sulle candidature: "Oggi la candidatura politica serve da copertura per avere l'immunità parlamentare: è un processo che si è capovolto. Non tocca alla magistratura fare le liste o curare operazioni di cosiddetta 'bonifica politica', però i cittadini che votano candidati discutibili puntano a un vantaggio personale, fanno parte del meccanismo del voto di scambio. E' un problema culturale difficile da smontare".
Caricamento commenti
Commenta la notizia