PALERMO. Sono sette i condannati per la strage di via D'Amelio - sei stavano scontando l'ergastolo - che torneranno in libertà dopo la decisione della corte d'appello di Catania di accogliere la richiesta di sospensione dell' esecuzione della pena presentata dal pg di Caltanissetta Roberto Scarpinato. Alcuni sono nomi noti in Cosa nostra, come Salvatore Profeta, Giuseppe Urso e Natale Gambino.
Gaetano Murana era invece incensurato al momento dell'arresto. Poi c'é il sedicente pentito Vincenzo Scarantino, l'autore della falsa ricostruzione sulla fase esecutiva della strage: piccolo spacciatore sempre "disconosciuto" da mafiosi del Calibro di Totò Cancemi che in uno storico confronto gli disse: "ma che vuoi sapere tu delle stragi che con Cosa nostra non c'entri nulla?" Scarantino, condannato a 18 anni per l'eccidio, ha raccontato tra l'altro di avere commissionato il furto della 126 usata come autobomba nella strage e ha coinvolto nei preparativi dell' attentato persone, secondo il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, innocenti. Protagonista di due clamorose ritrattazioni in aula il "picciotto" della Guadagna ha recentemente confessato di essersi inventato tutto perché costretto dalla polizia. Profeta, cognato di Scarantino, uomo della 'famiglia' di Santa Maria di Gesù, ha cominciato la sua carriera criminale con una condanna al maxiprocesso alla mafia. Era uomo di fiducia del boss Giambattista Pullarà, ha raccontato lo storico pentito Marino Mannoia. Arrestato nel '93 e' stato condannato all'ergastolo per strage e associazione mafiosa nel primo processo per l'eccidio di via D'Amelio. Scarantino l'ha accusato di avergli commissionato il furto della 126 che, imbottita di tritolo, uccise il giudice Borsellino e gli agenti della scorta.
Le accuse del falso pentito sono state smentite da Spatuzza, che ha rivelato di essere stato lui a rubare l'auto su mandato del boss Giuseppe Graviano e ha fatto chiarezza su tutte le fasi successive al furto e alla preparazione della macchina riempita di esplosivo. Le dichiarazioni del collaboratore scagionano anche le altre persone tirate in ballo da Scarantino. Come Murana, arrestato nel luglio del 1994, è stato assolto in primo grado e scarcerato il 3 febbraio del 1999. In appello la sentenza è stata ribaltata. Condannato all'ergastolo, si è costituito ed è tornato in carcere. Secondo Scarantino avrebbe "scortato", insieme a un altro gruppo di uomini d'onore, la 126 rubata mentre veniva portata sul luogo della strage.
Vernengo, condannato all'ergastolo per l'attentato di via D'Amelio in appello si è reso irreperibile nel 2002, dopo il verdetto, ed è tornato in carcere il 6 marzo del 2004. Scarantino lo aveva accusato di avere partecipato alla riunione in cui venne decisa la strage, di avere preso parte alla preparazione della macchina nell'autofficina di Giuseppe Orofino (assolto dalla strage nel primo processo Borsellino e condannato solo per favoreggiamento). Urso, genero di Pietro Vernengo, fu imputato e assolto al maxiprocesso nonostante le accuse di Mannoia. Venne riarrestato per la strage il 18 luglio del 1994. Condannato all'ergastolo in appello si è reso latitante. E' tornato in cella il 23 maggio del 2003. Secondo Scarantino avrebbe fatto parte del commando che portò la 126 nella carrozzeria in cui vennero sostituite le targhe. La Mattina, condannato per mafia sempre in base alle dichiarazioni di Mannoia, aveva scontato la pena quando, nel 1997, venne arrestato insieme al boss allora latitante Pietro Aglieri. Condannato in secondo grado all'ergastolo, è accusato di aver partecipato alla riunione deliberativa della strage e di avere "bonificato" le vie percorse per gli spostamenti della macchina.
Uguale la posizione di Gambino, arrestato pure lui con Aglieri dopo avere scontato una precedente condanna per mafia. Per l'eccidio di via D'Amelio ha avuto l'ergastolo. Scotto, arrestato il 7 agosto del 2001, condannato in primo e secondo grado all'ergastolo, è l'uomo dei misteri del processo per la strage di via D'Amelio. Nella sua deposizione l'ex funzionario di polizia Gioacchino Genchi l'ha indicato come un possibile raccordo della mafia con i servizi segreti deviati. Non uscirà dal carcere, nonostante la sospensione dell'esecuzione della pena, perché deve scontare altre due condanne definitive.
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