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Di Maio prima di morire: "Schifato dalla mafia"

Queste le parole che pronunciava spesso il pentito trovato morto davanti ai giudici, quando il collaboratore accusava i suoi complici con i quali gestiva il racket delle estorsioni alla Guadagna

PALERMO. Spesso ripeteva in aula di essere "schifato" dai metodi di Cosa nostra, per questo Giuseppe Di Maio, 34 anni, aveva deciso di collaborare con la giustizia accusando i complici con i quali aveva gestito il racket delle estorsioni alla Guadagna, una delle zone a più alta densita mafiosa di Palermo. Di Maio, trovato morto impiccato in Liguria nell'abitazione dove viveva sotto protezione dopo la scelta di abbandonare la mafia, aveva tirato in ballo anche il suocero Giuseppe Lo Bocchiaro e gli amici del quartiere. Grazie alle rivelazioni fatte ai magistrati, le forze dell'ordine di recente avevano arrestato alcuni boss dei 'Pagliarelli'. Da un anno e mezzo, il pentito non vedeva i suoi due figli e la moglie lo aveva lasciato. Da allora, l'ex picciotto viveva un travaglio interiore. Fare il giro dei negozi per riscuotere il pizzo non era quello che aveva sognato di fare nella vita: i suoi genitori tentarono fino all'ultimo di convincerlo a non sposare la figlia di Lo Bocchiaro. Ma il giovane andò avanti per la sua strada. Dopo il matrimonio sarebbe stato il suocero, secondo la ricostruzione fatta dagli inquirenti, a introdurre il genero nella 'famiglia' mafiosa. Il suo compito era quello di riscuotere il pizzo, ma quando a marzo del 2010 fu arrestato dalla polizia in un'operazione antimafia, Di Maio decise di chiudere con Cosa nostra. Dopo un mese di carcere, fu trasferito in Liguria dove stava scontando i domiciliari per la condanna a quattro anni con l'accusa di mafia ed estorsioni. Ma sulle spalle, più che la detenzione, portava il peso della lontananza dai suoi figli, dai genitori e dalla sua città.

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