Domenica 28 Aprile 2024

Collusioni cosche-coop rosse, tutti assolti in appello

PALERMO. La corte d'appello di Palermo ha ribaltato la sentenza emessa in primo grado dal tribunale sulle presunte collusioni tra alcune coop rosse e le cosche mafiose nella gestione degli appalti pubblici. Assolti l'imprenditore STEFANO POTESTIO, vicino al Pci e poi al Pds, che in primo grado aveva avuto sei anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, e gli ex dirigenti RAFFAELE CASARUBBIA, presidente del consorzio Cespa e PIETRO MARTINO, quest'ultimo a capo del Conscoop, entrambi condannati a cinque anni e sei mesi. Unica conferma: l'assoluzione dell'ex dirigente dell'ufficio tecnico di Bagheria, NICOLO' GIAMMANCO, difeso dagli avvocati Carmelo Franco e Gioacchino Sbacchi, già prosciolto dal tribunale. Per lui la Procura aveva presentato appello. Gli imputati erano accusati a vario titolo di concorso in associazione mafiosa e turbativa d'asta. L'indagine nel 2000 portò a 15 arresti: secondo le tesi degli inquirenti, Cosa nostra, fin dalla fine degli anni '70, avrebbe cercato di estendere la propria influenza anche ai partiti della sinistra, Psi e soprattutto Pci, in modo da giungere con le forze politiche che si erano contraddistinte storicamente per le loro posizioni antimafiose a una sorta di pace. In questo contesto, per i pm, cooperative e imprese vicine alla sinistra sarebbero scese a patti con i boss mafiosi, ottenendone vantaggi e favori come l'aggiudicazione di appalti pubblici. A carico degli imputati la Procura portò le dichiarazioni del cosiddetto ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra, Angelo Siino, poi passato tra i ranghi dei collaboratori di giustizia. Grazie a Siino, gli investigatori ricostruirono il complesso sistema di spartizione degli appalti gestito dai clan. Il pentito parlò di "un'apertura a sinistra delle cosche" voluta soprattutto dal boss Bernardo Provenzano. Ma le accuse, durate 12 anni, non hanno retto in appello.

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