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Collusioni cosche-coop rosse, tutti assolti in appello

L'indagine nel 2000 portò a 15 arresti: secondo l'accusa Cosa nostra, fin dalla fine degli anni '70, avrebbe cercato di estendere la propria influenza anche ai partiti della sinistra per raggiungere con loro una sorta di pace

PALERMO. La corte d'appello di Palermo ha ribaltato la sentenza emessa in primo grado dal tribunale sulle presunte collusioni tra alcune coop rosse e le cosche mafiose nella gestione degli appalti pubblici.
Assolti l'imprenditore STEFANO POTESTIO, vicino al Pci e poi al Pds, che in primo grado aveva avuto sei anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, e gli ex dirigenti RAFFAELE CASARUBBIA, presidente del consorzio Cespa e PIETRO MARTINO, quest'ultimo a capo del Conscoop, entrambi condannati a cinque anni e sei mesi.
Unica conferma: l'assoluzione dell'ex dirigente dell'ufficio tecnico di Bagheria, NICOLO' GIAMMANCO, difeso dagli avvocati Carmelo Franco e Gioacchino Sbacchi, già prosciolto dal tribunale. Per lui la Procura aveva presentato appello. Gli imputati erano accusati a vario titolo di concorso in associazione mafiosa e turbativa d'asta.
L'indagine nel 2000 portò a 15 arresti: secondo le tesi degli inquirenti, Cosa nostra, fin dalla fine degli anni '70, avrebbe cercato di estendere la propria influenza anche ai partiti della sinistra, Psi e soprattutto Pci, in modo da giungere con le forze politiche che si erano contraddistinte storicamente per le loro posizioni antimafiose a una sorta di pace. In questo contesto, per i pm, cooperative e imprese vicine alla sinistra sarebbero scese a patti con i boss mafiosi, ottenendone vantaggi e favori come l'aggiudicazione di appalti pubblici. A carico degli imputati la Procura portò le dichiarazioni del cosiddetto ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra, Angelo Siino, poi passato tra i ranghi dei collaboratori di giustizia. Grazie a Siino, gli investigatori ricostruirono il complesso sistema di spartizione degli appalti gestito dai clan. Il pentito parlò di "un'apertura a sinistra delle cosche" voluta soprattutto dal boss Bernardo Provenzano. Ma le accuse, durate 12 anni, non hanno retto in appello.

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