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"Supereroi", una storia d'amore lunga una vita nel nuovo film di Paolo Genovese

Terrence Malick diceva che "…bisogna amare, che vi piaccia o no. Le emozioni, vanno e vengono come nuvole. L'amore non è solo un sentimento, l'amore dovete dimostrarlo, amare significa correre il rischio del fallimento".

I protagonisti di "Supereroi", l’ultimo lungometraggio di Paolo Genovese, si amano e preservano, nel corso dei tumultuosi anni che caratterizzano una relazione, un sentimento che alla fine si rivelerà predominante, vincente. La realtà microcosmica che il regista romano mette in scena è una realtà in cui i veri supereroi, moderni, sono le persone che riescono ad amarsi per una vita intera.

Un salto anacronistico che incontra le sue difficoltà nelle relazioni contemporanee. E Genovese lo sa, perché dopo "Perfetti Sconosciuti" (dove però erano i sotterfugi e la menzogna ad essere protagonisti) l'ossessione di questo tema universale si ripresenta come un fardello a cui è difficile trovare una risposta razionale.

La sceneggiatura è tratta dall’omonimo romanzo del regista romano, qui proiettata sul grande schermo da un cast (Jasmine Trinca, Alessandro Borghi, Greta Scarano, Vinicio Marchioni, Linda Caridi, Elena Sofia Ricci) dove, nessuno escluso, è in stato di grazia.

Anna (Jasmine Trinca) e Marco (Alessandro Borghi) sono una coppia apparentemente dissimile: lei è una fumettista irrazionale, impulsiva e reticente alle lunghe relazioni che affida il suo modus vivendi al suo alter ego su carta, Drusilla. Lui l’opposto. Un professore universitario di fisica per il quale tutto si può e si deve spiegare attraverso i numeri. Tutto si può studiare, c’è una risposta ad ogni evento della vita. Anche se poi la razionalità deve lasciare spazio ad un tempo che tutto consuma e che, nonostante le iniziali premesse di Marco, esiste. "Solo ce ne accorgiamo quando viene a mancare". Insostenibilmente vero.

Anche le scelte musicali - tra tutte - "I’m Yours" e "Sei bellissima" conducono e fanno intendere le ragioni del regista; l’intento cioè di rappresentare e dirigere - sin dai primi frame del film - in una dimensione dove c'è spazio per il fantasy e per il divino, per dei binari che due persone che si amano costruiscono.

Genovese, attraverso un meticoloso lavoro dietro la macchina da presa in cui sa di poter e voler osare, racconta la vita e l’innamoramento di questa coppia, in un arco di tempo che ricopre dieci anni, ben visibile dall’assenza o la presenza della barba di Marco. Dall’infatuazione alla convivenza, attraverso tutti i momenti e alle brutture che la quotidianità può riservare. "Una coppia è tale se dura, altrimenti sono solo due persone che stanno insieme".

Ed è così che sulla cornice di sfondo di città come Marrakech, Milano, Copenaghen, l’incantevole Ponza, e ad una fotografia che accompagna Anna e Marco in ogni loro stato d’animo, i due protagonisti cambiano: non si tratta di un’evoluzione o di una regressione. Sono cambiamenti e metamorfosi che ogni relazione, nessuna esclusa, porta con sè: cambiano i luoghi, gli amici, le speranze. Iniziano le gelosie, i tradimenti e i sensi di colpa.

Ma ci si ritrova. Genovese lo sa e in forma filmica, ancora una volta, lo sottolinea. Così come canta Brunori Sas: "Per due che come noi non si son persi mai e che se guardi indietro non ci crederai", Anna e Marco riescono a combattere e vincere una noia moraviana trasferendo le difficoltà in emozioni da dover vivere e sviscerare creando un mondo incantevole e a tratti utopico.

Anche la più atroce malinconia - che bussa alla porta quando Anna e Marco si incontrano dopo un periodo di separazione - ha una durata irrimediabilmente breve. Loro si sono sempre cercati, più di quanto essi stessi pensassero.

La retorica, incostantemente presente, è fronteggiata al contempo da una sceneggiatura dove la genuinità di una tenerezza puerile trasforma quelli che possono essere dialoghi carichi di parole attese in slanci di eros e passione.

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