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Spalletti non si preoccupi della Spagna e vada avanti per la strada italiana

Il ct si ricordi della finale 2012, finita 4-0 per gli iberici, e del modo in cui l'affrontò Prandelli

Mi piacerebbe riveder la Spagna, quella che nella finale dell’Europeo 2012 ci rifilò quattro pere, rovinando uno dei rari eventi azzurri fin lì godibili, il miglior frutto della stagione di Prandelli. Ma ne vedremo un’altra, giovedì prossimo - e già ci prende la tremarella per quel 3 a 0 inflitto dalle furie rosse alla Croazia - ed è giusto trovare in archivio le tracce di una sconfitta che fece scuola.

Noi col berretto degli asini. Chissà perché gli spagnoli ci creano imbarazzo solo accusandoci di nefandezze che in realtà sono virtù: catenaccio e contropiede, più semplicemente calcio all’italiana.  Vergogna. (Poi fanno i fenomeni con Ancelotti che non è Guardiola). E chissà perché a noi italiani quando pensiamo agli spagnoli d’oggidì viene in mente il flamenco rock, la loro modernità. Mentre il Maestro assoluto è stato Del Bosque, Er Moviola. Nel 2012 - quei giorni felici in cui scoprimmo di avere un campioncino, Balotelli, e cominciammo subito a sprecarlo - avevamo un’Italia bellissima con tutta quella Juve (Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini, Marchisio, Pirlo, Giovinco e anche Giaccherini, toh!) e arrivammo in finale dopo avere umiliato Inghilterra e Germania.

Dovevamo vincere. Ci prese la tremarella. Ho un ricordo nitido di quella vigilia. Predicavo sicurezza puntando sulla potentissima difesa bianconera; ne parlai in radio, in tv, lo scrissi sul giornale e un partitello di prandellisti, improvvisati sostenitori - ricordo - più della sua linea morale che del suo credo tattico, mi trattarono come un cavernicolo. Un giorno - per rasserenarmi - chiamai al telefono Emiliano Mondonico, gli spiegai la mia pena: «Non preoccuparti - mi disse con un sol tocco tranchant - con quella difesa lì se non impazzisce stravince». Beh, il saggio e prudente Cesare impazzì, s'inventò un Tikitaka all’italiana, affrontò la Spagna «alla pari» - diceva lui - e finì che Silva, Alba, Torres e Mata ci fecero neri. Di chi la colpa? I prandellisti e quelli del flamenco rock trovarono varie scuse, qualcuno fece ricadere la responsabilità su Thiago Motta - costretto ad uscire anzitempo - così come nel 1966 tanti avevano spiegato la tragedia coreana col dramma di Bulgarelli infortunato. E allora dico a Spalletti - felicemente ricco di ambizione - di non preoccuparsi della Spagna, di andare avanti per la strada italiana. Magari raccomandando ai ragazzi di passar palla a Scamacca.

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