PALERMO. La battaglia per l’acqua si gioca su una legge di 14 articoli che, a differenza di quanto prevede la riforma nazionale, esclude da ogni ruolo in Sicilia i privati e affida organizzazione e gestione del servizio a Comuni e società interamente pubbliche. Eccola la norma su cui più di ogni altra si sono spaccati il governo e la maggioranza. La riforma che tutti chiamano Legge per l’Acqua Pubblica prevede - spiega il grillino Giorgio Trizzino, presidente della commissione Ambiente - la creazione di un minimo di 5 e un massimo 9 ambiti idrogeografici ottimali. All’interno di queste aree i Comuni si consorzieranno e a loro volta affideranno la gestione del servizio «a enti di diritto pubblico, quali aziende speciali, aziende speciali consortili, consorzi di Comuni o singoli Comuni». In casi limite è previsto pure che i singoli Comuni facciano tutto in proprio. «Ma - obietta l’assessore alle Acque, la renziana Vania Contrafatto - questa è una differenza sostanziale con le norme in vigore nel resto d’Italia. La legge nazionale prevede che l’acqua è e resta pubblica ma la gestione del servizio è un’altra cosa e viene regolata rispettando norme comunitarie». L’assessore entra nel dettaglio: «A livello nazionale l’ente pubblico che organizza il settore può optare per tre soluzioni: può affidare il servizio a una società in house interamente pubblica, può scegliere una società mista pubblica-privata o può affidare tutto a un privato individuato con gara pubblica».