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Lo Porto, il fratello: "Vogliamo il corpo di Giovanni, vergogna per l'aula vuota"

Parla Giuseppe, uno dei fratelli del cooperante palermitano ucciso

PALERMO. "Sono passati tre mesi dal raid americano, non so come sarà il corpo di mio fratello, se esista ancora. Qualsiasi cosa sia rimasta, anche un occhio, noi ne chiediamo la restituzione". Lo dice all'ANSA Giuseppe Lo Porto, uno dei fratelli di Giovanni il giovane cooperante rimasto ucciso in un raid americano a gennaio scorso al confine tra Pakistan e Afghanistan. Aggiunge Giuseppe Lo Porto: "Non sappiamo nulla su come sia avvenuto il riconoscimento di mio fratello, alla Farnesina abbiamo già detto che rivogliamo il corpo e penso che anche per il governo questo sia un impegno". "Penso che il governo prenderà come missione quella di riportare il corpo di mio fratello - prosegue - In questi anni, siamo stati sempre in contatto quotidiano con la Farnesina: 365 giorni all'anno per tre anni, ci hanno sempre chiamato sia a me che a mia madre".

«Al di là del fatto che sono il fratello di Giovanni, da cittadino italiano posso solo dire che è stato vergognoso assistere a un'aula del parlamento semivuota,
con appena 40 persone che litigavano tra loro. Mi vergogno di essere italiano», dice Giuseppe, parlando della seduta di ieri alla Camera sul fratello. «Le polemiche - aggiunge - le fanno tra loro solo per questioni di potere. In tv litigano, alla Camera litigano, dovrebbero dare l'esempio. All'estero che immagine diamo di questo Paese? Facciamo ridere».  Sulle scuse del presidente degli Stati Uniti, Obama, Lo Porto ha detto: "A noi restano solo quelle e non c'era - ha aggiunto - il raid con i droni mio fratello, non moriva. Di certo non è una cosa facile che un presidente Usa chieda scusa. Renzi? Credo sia vero che non sapesse nulla, anzi ne sono convinto... poi la verità la conoscono loro. Renzi ci ha chiamato, ci ha fatto le condoglianze, così come i presidenti di Camera e Senato, Boldrini e Grasso"

"Siamo stati informati che il  nostro Giancarlo è stato ucciso durante un attacco americano.  Siamo devastati dal dolore, senza parole e senza una bara su cui  piangere. Non capiamo i come e i perchè della sua morte ma  pretendiamo che il governo faccia ora completa chiarezza  sulla  vicenda». Sono le parole di un messaggio scritto dai familiari  di Giovanni Lo Porto, letto dalla cognata Giovanna Piazza,  davanti al portone del palazzo di via Pecori Giraldi a Palermo  dove abita la madre del giovane cooperante rimasto ucciso in un  raid americano a gennaio scorso. Con lei anche Daniele Lo Porto,  uno dei fratelli di Giovanni, che vive a Pistoia e che da ieri è  a Palermo.

«Siamo stati rassicurati dalla Farnesina e aspettavamo con  fiducia il suo ritorno ed ora si scopre che i fatti erano  diversi. Giancarlo poteva e doveva essere liberato. Che fosse in  quella zona era chiaro a tutti. E quindi l'uso di droni metteva  a rischio la sua vita - continua il messaggio - .La sua morte  non è stata un semplice errore la sua salma ci deve essere  restituita. Il discorso del ministro Gentiloni davanti a un aula  semideserta ha ingigantito nostro dolore». «Una commemorazione  ufficiale - prosegue il messaggio - è un atto dovuto. Ai  giornalisti chiediamo di rispettare il nostro dolore e di  seguire il lavoro della magistratura e delle istituzioni. E' una questione di giorni, poi tutti si dimenticheranno di Giovanni ma il nostro dolore rimarrà sempre».  Una foto ingrandita che ritrae Giovanni Lo Porto è stata esposta nel balcone al piano rialzato del palazzo di via Pecori Giraldi,

 

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