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Le infrastrutture che cedono, Margiotta: «Non va la gestione del territorio»

I casi di cedimenti dei viadotti nelle autostrade siciliane mettono in luce le falle di un’intera gestione di controllo del territorio. Lo dice Giuseppe Margiotta, presidente del direttivo della Consulta regionale degli ingegneri. Sarebbe stato necessario, secondo Margiotta, «avviare la sperimentazione di un progetto strategico che potesse permettere di raccogliere e trasmettere dati in tempo reale sullo stato di salute delle infrastrutture in funzione del rischio sismico e idrogeologico. Ma si è deciso di fare altro». E sui tempi di intervento: «Non credo, in linea strettamente tecnica, alla necessità di tempi lunghissimi come quelli temuti, sempre che naturalmente ci sia la volontà e la forza economica e politica per fare in fretta».

Nei mesi scorsi il crollo del viadotto Favara, poi quello Scorciavacche sulla Palermo-Agrigento, adesso quello dell’Himera che coinvolge un’infrastruttura altamente strategica come l’autostrada Palermo-Catania. Cosa sta succedendo? Cosa c’è che non funziona?

«Ad essere rigorosi dovremmo dire che si tratta di situazioni tecnicamente diverse. Nei casi precedenti a quello dell’Himera, come quello accaduto qualche anno fa sulla Caltanissetta-Gela, si tratta di cedimenti strutturali di varia natura che noi abbiamo denunciato come figli della maniera stessa di affrontare la realizzazione delle grandi opere. Abbiamo contestato la sovrapposizione dei ruoli di controllori e controllati che il sistema Anas e, più in generale, quello dei lavori pubblici vigente permette. Quest’ultimo grave episodio allarga invece la prospettiva verso l’intera gestione del territorio e del controllo delle infrastrutture».

Cioè? Questi cedimenti potevano essere previsti? E, in particolare, in quest’ultimo caso cosa è successo?

«La situazione che si è creata sulla A-19 è figlia della superficialità complessiva che sovrintende alla gestione del nostro territorio e alla programmazione degli interventi. Movimenti franosi “storici”, come quello della collina di Caltavuturo, sono ampiamente conosciuti ma colpevolmente trascurati. In questa ottica pensiamo che interventi costosi e sostanzialmente inutili come la realizzazione dello svincolo Irosa, per restare in zona, potevano benissimo essere rinviati a favore di interventi di protezione delle pile autostradali e di contenimento del movimento franoso».

Quanti e quali altri casi a rischio ci sono nelle autostrade siciliane? Situazioni che bisognerebbe tenere sotto controllo e che avrebbero bisogno di interventi strutturali...

«Durante il recente Workshop sulla programmazione europea dei fondi PO-FESR, promosso dall’assessore alle Infrastrutture, noi ingegneri avevamo spinto per una scelta strategica che il tavolo comune con le altre categorie professionali (con in testa gli amici architetti) ha purtroppo snobbato: quello del monitoraggio sistematico a distanza delle grandi strutture. Abbiamo proposto, infatti, di concentrare le energie disponibili nello studio e nella sperimentazione di un sistema denominato Sismo, che avrebbe consentito di raccogliere e trasmettere a distanza i dati puntuali relativi alle infrastrutture stradali e strategiche. Dati che, integrati da indagini strutturali geofisiche e geotecniche, avrebbero permesso di valutarne in tempo reale lo stato di salute in funzione del rischio sismico e idrogeologico. È passata, invece, la linea di affrontare decine e decine di temi differenti, anziché un preciso progetto strategico di cui esistono diversi modelli attualmente in sperimentazione anche in Sicilia».

Nei giorni scorsi l’assessore regionale alle Infrastrutture, Giovanni Pizzo, ha detto che il problema non è delle strade ma di dove si costruiscono…

«L’assessore ha in parte ragione. Già gli antichi romani parlavano di ”genius loci” per individuare il luogo adatto alle costruzioni. Ma se questo è sempre vero per gli edifici, in materia di strade e ferrovie dobbiamo comunque fare i conti con la realtà del nostro territorio, particolarmente delicato sia sotto l’aspetto sismico sia sotto quello idrogeologico e, soprattutto, in continua evoluzione. Dovendo, comunque, garantire le generali esigenze di trasporto e comunicazione si tratterà sempre e comunque di un problema di bontà dei progetti e di accorta programmazione, controllo e gestione».

Il presidente dei geologi, invece, ha parlato dell’importanza di un approccio multidisciplinare. Lei è d’accordo? Quali sono le competenze adeguate che devono dialogare tra loro? Penso, per esempio, ai diversi rami di ingegneria e al settore della geologia…

«Sono perfettamente d’accordo con il presidente dei Geologi Giuseppe Collura. È da tempo che ingegneri e geologi collaborano strettamente. Anche a livello nazionale, le nostre categorie professionali convengono sulla necessità di abbandonare il conflitto di competenze che ci ha afflitti per decenni, per arrivare ad una più precisa disciplina che valorizzi proprio la interdisciplinarietà. Quello delle cosiddette competenze esclusive è un falso problema, perché siamo convinti che si tratti di apporti assolutamente differenti e obbligatoriamente complementari. La materia geologica e quella geotecnica non possono prescindere l’una dall’altra ed è, dunque, tempo che questa evidenza venga sancita anche dalla normativa».

Che previsioni si possono fare sui tempi? La ricostruzione del viadotto che percorsi deve seguire?

«Il problema, come è facile immaginare, è molto complesso perché interessa anche gli strati profondi del terreno. Esistono potenzialmente dei sistemi di monitoraggio in tempo reale da mettere in atto. Il professore Colombini, maestro indiscusso di ponti in Italia e nel mondo, diceva che non ci sono opere impossibili ma solo opere più o meno costose».

L’Anas ha parlato in questi giorni dell’ipotesi di realizzare una bretella nei pressi dell’autostrada per evitare quel lungo ed estenuante percorso alternativo al momento in atto. È una soluzione percorribile?

«Ci stiamo rendendo conto che abbandonare le strade statali e provinciali al proprio destino, come si fa ormai da anni in Sicilia e non solo, rivela tutta la miopia delle strategie pubbliche in tema di viabilità. Non solo le strade alternative esistenti sono lunghe e impervie, ma in condizioni di abbandono e dissesto impressionanti. Sistemarle adesso sarebbe un’impresa. La bretella invece ritengo sia assolutamente percorribile, anche se le altezze dei viadotti comporteranno certamente la ricerca di soluzioni non facili».

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