Febbraio 2012: lo Stato stanzia 1.100 milioni di euro per la rete fognaria e la depurazione delle acque reflue in Sicilia. Febbraio 2015: la Regione non realizza le opere ed il Governo di Roma invia un commissario. A cavallo tra queste due date, si collocano due eventi: l’entrata in carica del governo Crocetta nel novembre 2012 e la pesantissima sanzione comminata dall’Europa alla Sicilia, di 185 milioni di euro, per avere disatteso gli obblighi di depurazione delle acque. E dire che dal 2003 i siciliani subiscono un aumento annuale del 5% delle tariffe idriche, proprio per dare copertura finanziaria ai depuratori.
Insomma, come al solito, si tassa subito e si spende dopo o magari mai! Immaginiamo ora, solo per un momento, che la Regione Siciliana abbia impiegato le risorse statali per depuratori e fognature; la spesa di 1.100 milioni di euro avrebbe permesso l’assunzione di oltre 30 mila unità lavorative pari a due terzi dei posti di lavoro andati in fumo nell’edilizia siciliana a seguito della crisi.
Inoltre, l’utilizzo dei fondi statali avrebbe assicurato alla Regione l’introito di 110 milioni di euro sotto la voce Iva sulle opere pubbliche ed un ammontare imprecisato di risorse provenienti dall’Irpef e dall’Irap.
Ancora, la Sicilia ha uno sviluppo costiero di 1.637 chilometri, pari al 22% dell’intera costa italiana; non è misurabile, ma è facilmente comprensibile quale impatto avrebbe per la balneazione e per gli esercizi alberghieri un mare diffusamente pulito. Resta infine il tema della qualità della vita delle popolazioni residenti nei comuni costieri; al riguardo arrivano puntuali le parole del Presidente del Consiglio, Renzi, «è inaccettabile che sei siciliani su dieci non abbiano fognature e depuratori».
Chiudiamo il libro dei sogni e torniamo alla cruda realtà. Venticinque anni fa l’Unione Europea emanava una direttiva per disciplinare nei Paesi membri il tema della depurazione dei reflui prima dello scarico in mare. È vero che i soldi dello Stato sono arrivati «soltanto» tre anni fa, ma certo stupisce che la tanto sbandierata «Autonomia» con il suo corollario di poteri e competenze speciali non abbia mai contemplato la soluzione di un problema tanto urgente. Eppure lo si sarebbe potuto fare agevolmente, con risorse del bilancio regionale o con fondi strutturali europei.
Ora il Governo di Roma decide di scavalcare la Regione inadempiente e di affidare ad un Commissario la realizzazione delle 93 opere previste per la Sicilia. Si tratta di uno schiaffo istituzionale una tantum o prelude all’assunzione di scelte analoghe?
Certo il Commissariamento da parte del Governo nazionale, accompagnato dal monito dello stesso Presidente del Consiglio, di «procedere rapidamente senza guardare in faccia nessuno», dovrebbe suonare come una sirena di allarme alle orecchie delle forze politiche.
Mentre la Sicilia, proprio in questi giorni, si confronta con l’esigenza di ridurre alcuni servizi pubblici per mancanza di risorse finanziarie, brucia la rinuncia consapevole all’impiego di somme cospicue, giacenti nei cassetti e senza vincoli di spesa. Una burocrazia assente ed una politica distratta hanno reso possibile un fatto tanto grave.
È mancata - e stando alla cronaca di questi giorni continua a mancare - una politica capace di colpire gli sprechi e di mobilitare le risorse. Eppure questa è l’unica ricetta per dare sviluppo e lavoro ai Siciliani. Non ce ne sono altre. Nella bozza di Dpef predisposta dall’assessore Baccei, lo si dice a chiare lettere. Tuttavia, a giudicare almeno dalle prime reazioni parlamentari, non sembra che la questione abbia fatto presa.
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