Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Le mani di Cosa nostra sugli appalti

Il verbale di interrogatorio entra nel processo così come richiesto dai pubblici ministeri Stefano Luciani e Maria Pia Ticino

CALTANISSETTA. Il verbale d’interrogatorio reso da un imprenditore, pure lui nel vortice dell’inchiesta su mafia ed estorsioni «Redde rationem», entra nel processo con altri sei imputati che hanno optato per il rito ordinario. Ieri, il Collegio giudicante (presieduto da Mario Amato) sciogliendo la riserva ha accolto l’istanza dei pm Stefano Luciani e Maria Pia Ticino che hanno chiesto l’ammissione di un verbale d’interrogatorio reso da Marcello Sultano (difeso dall’avvocato Giuseppe D’Aleo), titolare di un impianto di calcestruzzo, il 10 maggio dello scorso anno al sostituto Stefano Luciani. Un verbale di 220 pagine, costellato da non pochi «omissis», tra le cui pieghe Sultano si sarebbe soffermato su presunti rapporti tra l’ex boss Carmelo Barbieri ribattezzato «’U prifissuri» e l’imprenditore Giovanni Aloisio (assistito dagli avvocati Sergio Icona e Salvatore Gugino) titolare di un impianto di bitume poi sequestrato e accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e, ancora, con l’imprenditore Antonino Bracco (difeso dagli avvocati Salvatore Daniele e Danilo Tipo) accusato di mafia. Sarebbero stati «suggeriti» da Barbieri – secondo i nuovi contenuti - per appalti pubblici e forniture d’inerti e calcestruzzo. Su Aloisio, Sultano avrebbe asserito che lui (Aloisio) lavorava in zona – riferendosi a Caltanissetta – e che Sultano stesso «si sarebbe lamentato di questo con Angelo Schillaci (presunto reggente di Cosa nostra ndr)» e un certo punto lo avrebbe pure apostrofato pesantemente per questo. Sultano – sarebbe un passaggio delle dichiarazioni – avrebbe avuto un incontro con Schillaci e questi gli avrebbe riferito, in qualche modo, di «tollerarlo». Ma a un certo punto Sultano si sarebbe lamentato di Schillaci «che avrebbe fatto il doppio gioco favorendo lo stesso Aloisio». Su Marcello Sultano (difeso dall’avvocato Giuseppe D’Aleo), che per quattro episodi estorsivi in seno a questa inchiesta sulla «mafia del cemento» ha già patteggiato la pena in continuazione a due anni e quattro mesi, pendevano precedenti dichiarazioni rese, a ruoli invertiti, da Aloisio che durante un interrogatorio avrebbe tirato in ballo lo stesso Sultano. Il costruttore Bracco, era emerso da precedenti dichiarazioni di pentiti «avrebbe avuto accordi con i familiari di Giuseppe Madonia per garantita la possibilità di gestire la propria attività imprenditoriale in posizione di privilegio e con l'appoggio della famiglia, in cambio di una percentuale». Così come Aloisio sarebe risultato tra le ditte «favorite» da Cosa nostra. Il 26 febbraio il Tribunale deciderà se sentire Sultano. È allora che oltre a Bracco e Alosisio torneranno in aula gli altri imputati, Antonio Graci, Calogero Failla, Antonino Marcello Ferraro e Massimo Dall'Asta (difesi dagli avvocati Davide Anzalone, Sonia Costa, Diego Perricone, Leo Mercurio e Salvatore Gugino) accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa ed estorsione. Nel processo sono parte civile la Camera di Commercio, la Provincia, l'Ance, il Comune, l'associazione "Livatino", il Tavolo per lo sviluppo del centro Sicilia e l'imprenditore Stefano Galiano (assistiti dagli avvocati Giuseppe Panepinto, Raffaele Palermo, Giuseppe Panebianco, Alfredo Galasso e Calogera Baiamonte).

Caricamento commenti

Commenta la notizia