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Migranti, drammatico record: se viene meno pure la tolleranza - Il commento

Centomila e più. E non è ancora finita. Perché l'estate è lunga. E l'anno in corso ancora di più. Per continuare a partire. E morire

Centomila e più. E non è ancora finita. Perché l'estate è lunga. E l'anno in corso ancora di più. La tragica transumanza umana e la sua conseguente angosciante carneficina non accennano a fermarsi. Il Canale di Sicilia, l'intera fascia meridionale del Mediteranno, restano macchiati dal sangue innocente che cola da scassati barconi di disperati in fuga da vite impossibili e pronti a sfidare la morte – finendo molto spesso per soccombere – pur di regalarsi un anelito di speranza. Affidando la propria sorte e quella dei propri bambini, oltre che i propri pochi spiccioli, a organizzazioni criminali senza scrupoli che li consegnano alle loro preghiere, alle onde e a rotte senza appigli.

Siamo tornati indietro di sei anni. Ai numeri di quel 2017 in cui l'allora governo a trazione di sinistra, guidato da Gentiloni, davanti all'esodo biblico in corso dalla Libia (furono oltre 180 mila gli sbarchi l'anno precedente), si giocava un pezzo del proprio elettorato calando la carta vincente del cosiddetto «memorandum Minniti», dal nome dell'allora ministro dell'Interno. Il quale, sopravvissuto alle perenni faide di sinistra che avevano negli anni dato vita e morte ai vari governi D'Alema, Amato, Prodi, Letta, Renzi, in cui aveva avuto sempre un ruolo di primo piano, scelse la linea netta del decisionismo spinto. Transideologico, perfino. Fornendo alle autorità libiche mezzi finanziari e navali per provare ad arginare le partenze. Apriti cielo: quel decreto gli valse fuoco amico e futuro politico. Ma la mossa risultò subito decisiva, come mai nessun'altra prima e - ahinoi - dopo.

Quell'accordo portò infatti a un crollo verticale di sbarchi, fino al minimo storico di poco più di undicimila in tutto il 2019. Ora siamo punto e a capo.

Finite le restrizioni Covid e mutata la geografia dei flussi – ora si parte soprattutto dalla Tunisia – i numeri sono tornati drasticamente a lievitare. A Ferragosto è stata superata la soglia dei 100 mila sbarchi, quando nello stesso periodo dello scorso anno si rimase ben al di sotto dei 50 mila. Il rigore storicamente professato dalla destra in tema di politiche migratorie sta pagando un pesantissimo dazio alla transizione dagli estremismi da minoranza di piazza ai compromessi da maggioranza di governo. Il tentativo di Giorgia Meloni di tessere una tela di accordi col presidente tunisino Saied per arginare i flussi ha prodotto finora colloqui ma non atti concreti. E lo stesso coinvolgimento della Ue – più che mai sbrindellata quando si tratta di affrontare il tema migranti – è stato tutt'altro che un valore. A giugno in Lussemburgo l'accordo tra i 27 su procedure di frontiera e gestione dell’asilo ha dato vita a un mandato negoziale che non ha ancora trovato la quadra legislativa. Peraltro sul punto più complesso: la definizione dei Paesi terzi sicuri dove inviare i migranti che non ricevono asilo.

E dunque siamo sostanzialmente al nulla. Il tentativo di arginare l'operato indiscriminato delle Ong nel Canale ha portato a un paio di sanzioni, ma non ha spostato l'asticella. E mentre adesso esplode e spaventa anche il Niger, dalle nostre parti si registrano almeno un paio di fatti nuovi, sintomatici di quanto la soglia di sopportazione della «non gestione» dei flussi si sta pericolosamente abbassando. Prima la protesta degli abitanti di Lampedusa, da sempre cavalieri di accoglienza e tolleranza, ma ai quali non basta più un battimano sui pulpiti europei o un pellegrinaggio/omaggio del capoccione di turno. L'isola balla e barcolla drammaticamente fra il paradiso delle sue spiagge e l'inferno del suo mare. Quello stesso mare in cui eroici e stoici pescatori finiscono per dedicare la maggior parte del proprio tempo a tirar su poveracci alla deriva – quando non cadaveri galleggianti – piuttosto che reti piene di pesci. E di questo si sono lagnati. Senza schiamazzi, senza sbracamenti, ma con la dignità di chi – immerso nell'atavico senso di comunità e solidarietà che li caratterizza e di cui sono piene le cronache degli ultimi 15 anni almeno - sa di affrontare un tema delicato e che richiede la giusta sensibilità. Refoli che ancora rimbalzano sui muri delle divisive – quando non indifferenti – scelte di campo di ora questo e ora quell'altro tassello della disUnione Europea. Che si affaccia inerme su un mare macchiato di sangue innocente e disperato.

Centomila e più. E non è ancora finita. Perché l'estate è lunga. E l'anno in corso ancora di più. Per continuare a partire. E morire.

 

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