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I benefici del processo civile telematico

Il tema della Giustizia è sempre all’attenzione dell’opinione pubblica italiana, eppure solo di rado si dibatte (e tantomeno ci si accapiglia) sulle questioni di più immediato interesse per il cittadino comune, a cominciare dai tempi del giudizio. Osserva Sabino Cassese (già ministro per la Funzione pubblica e giudice della Corta Costituzionale) che in Italia un giudizio in primo grado, civile o penale, richiede in media un tempo tre volte superiore a quello europeo; in appello il tempo medio risulta sei volte superiore per il giudizio civile e dieci volte superiore per quello penale, mentre in Cassazione il tempo è nove volte superiore per il giudizio civile e due volte superiore per quello penale. Anche le istituzioni europee hanno più volte sottolineato che il nostro Paese necessita di un’energica riduzione dei tempi della Giustizia.

Una Giustizia che arriva in ritardo finisce, infatti, con l’essere «necessariamente ingiusta»; è stato possibile però aumentarne la produttività attraverso la digitalizzazione, una scelta che ha segnato un punto a favore dell’Amministrazione giudiziaria con l’avvio del processo telematico. Ne dà conferma la Corte dei Conti che, nel dicembre scorso, ha diffuso un’indagine proprio sui «risultati conseguiti in Italia con l’introduzione del processo civile telematico».

Salta all’occhio l’affermazione della nuova procedura del giudizio; non a caso - secondo la valutazione dei magistrati contabili - il processo telematico rappresenta ormai «una solida e compiuta realtà nell’ambito civile, anche se ancora in ritardo in quello penale». La digitalizzazione giudiziaria non si limita alla dematerializzazione dei documenti cartacei, ma produce «nuove e più ampie forme di conoscenza» e costituisce in conseguenza «un prerequisito fondamentale per l’esercizio consapevole della giurisdizione».

Questi i numeri del processo telematico alla fine del 2020: circa 1,2 milioni di professionisti attivi sulla piattaforma (avvocati, consulenti, periti, ecc.), oltre 56 milioni di atti telematici depositati, oltre 34 milioni di provvedimenti nativi digitali e circa 125 milioni di notifiche telematiche civili eseguite dalle cancellerie; per di più le entrate erariali, incassate con il pagamento telematico del contributo per le spese di Giustizia, hanno raggiunto i 370 milioni. Il processo telematico richiede uno sforzo finanziario corposo. Gli stanziamenti dedicati all’informatizzazione della Giustizia ammontano a 1,2 miliardi di euro, cui si aggiungono i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (oltre 130 milioni) con l’obiettivo di digitalizzare dieci milioni di fascicoli entro il 2026.

Se il processo telematico richiede investimenti corposi, allo stesso tempo, genera risparmi di spesa tutt’altro che trascurabili; a titolo di esempio, l’Amministrazione stima economie per oltre 200 milioni di euro solo per le spese di comunicazione tramite ufficiale giudiziario. Benefiche ricadute appaiono evidenti anche sotto il profilo organizzativo in materia, ad esempio, di consumo della carta e connesso uso delle macchine fotocopiatrici, di drastica riduzione delle operazioni di segreteria e grazie all’operatività da remoto (smart working), con tutte le ricadute del caso.
Riflessi consistenti della nuova impostazione organizzativa nell’ambito della Giustizia civile, si registrano - ciò che appare più rilevante - sul fronte della riduzione delle cause pendenti (nel 2012, erano più di 5 milioni; nel 2016 erano scese a 3,8 milioni; nel 2017 hanno raggiunto 3,6 milioni).

La relazione della Corte dei Conti mostra come il processo telematico abbia sofferto gli effetti di una disciplina di legge frammentaria; la normativa di riferimento, infatti, si è «dipanata (per oltre cinque lustri) secondo modalità assolutamente episodiche, sporadiche, disomogenee e prive di una visione organica di medio e lungo periodo». In considerazione della complessiva arretratezza dei sistemi tecnologici in uso occorre, a giudizio dei magistrati contabili, procedere a un progressivo ammodernamento; in quest’ambito la Corte dei Conti auspica la realizzazione di una «Rete propria del ministero della Giustizia, sul modello di quella in possesso dell’Arma dei carabinieri, del ministero dell’Interno e della guardia di finanza». La bassa confidenza digitale del personale della Giustizia - l’età media è cinquantadue anni - costituisce però un ostacolo; una ricerca sul pubblico impiego ha evidenziato, infatti, che il livello medio d’istruzione è classificabile come «non elevato»: il 62% del campione intervistato ha il diploma di licenza media superiore, il 4% la laurea breve, il 34% la laurea.

Anche se la Corte dei Conti sottolinea i progressi conseguiti con le nuove tecnologie applicate al processo telematico, tuttavia i magistrati contabili esprimono il convincimento che il traguardo di una Giustizia efficiente e più efficace non possa, comunque, prescindere dal completamento della stagione delle riforme. Luci e ombre, quindi, ma con un irrinunciabile presupposto. Sabino Cassese ne è convinto: «Se i problemi della Giustizia continuano a essere trattati come ai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini, non ci sono vie di uscita».

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