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È giunta l’ora di fare scelte drastiche

L'obbligo del vaccino sembra oggi la soluzione migliore

Additata a modello di resilienza e ripartenza da chi un tempo ci guardava con ironia e malcelata sopportazione (Germania, Francia). Promossa dagli analisti. Certificata dalle agenzie di settore. È un'Italia migliore quella che chiude il 2021. Ma la ritrovata verve economica e la capacità di aver affrontato con rigore la fase più dura della pandemia non devono proprio ora essere messe a rischio da scelte ondivaghe e di compromesso. Nel governo tornano i giochi incrociati delle fazioni, anche a costo di sostenerli con alleanze friggi e mangia: Lega e M5S che trovano unità d'intenti contro la linea dura del green pass rafforzato per tutti i lavoratori; Forza Italia e Pd che spingono insieme verso l'obbligo vaccinale. La scelta di mediare a oltranza – pur legittima e opportuna – rischia di trasformare la cura in un palliativo. Generando solo confusione in chi ci crede e alimentando lo scetticismo di chi non ci crede. Ma siccome vanno tutelati i primi (consapevoli e preoccupati) e risulta ormai difficile convincere i secondi (obnubilati e strafottenti ) la via dell'imposizione vaccinale appare in fondo la più logica e risolutiva. Invece no: si taglia e si cuce, si apre e si rattoppa, si tende l'elastico e poco dopo lo si smolla.

Dai tempi del richiamo (sei, cinque, quattro mesi) alla durata del green pass (dodici, nove, sei mesi), dalla quarantena (14, 10, 7, 5 giorni, col booster no, con la seconda dose dopo 120 giorni sì) ai tamponi (quelli salivari e rapidi ormai farlocchi, quelli molecolari costosi e introvabili), siamo dentro al circo barnum delle scelte. Contorte e mediane. Alla ricerca di una quadra che mai potrà essere trovata senza lasciarsi alle spalle qualche muso lungo e fiuto corto. Ma solo rinunciando all'ecumenicità del consenso. Per dirla tutta e fino in fondo: non si può continuare col considerare alla stessa stregua vaccinati e non vaccinati. Bisogna tutelare al massimo i primi. Anche dalle ingiustificate ritrosie dei secondi. Senza alcun artifizio legislativo o infingimento interpretativo.

Psicosi ingiustificata, ma...

Omicron dilaga ma sembra far meno danni di Delta. Oggi come oggi bisogna guardare alle ospedalizzazioni più che ai contagi. La situazione è molto più gestibile di un anno fa, anche se non certo in progressivo miglioramento. Allora il vaccino era appena arrivato, oggi siamo a oltre 9 miliardi di dosi somministrate in tutto il mondo. In tal senso appare logica la rivisitazione in chiave più morbida delle quarantene. Tenere milioni di italiani a casa, anche se asintomatici o solo per un contatto con un positivo, rischia di bloccare il Paese. E non possiamo più permettercelo. Ma non possiamo più permetterci neanche i deliri propagandistici di complottisti e negazionisti. La tutela della loro salute (il 70 per cento dei ricoverati non è vaccinato) e della loro libertà di movimento a questo punto va subordinata a quella di chi si vaccina. E non viceversa. Può apparire cinico. È necessario.

Draghi e marrani

Lo stesso premier appare ultimamente compresso nel delicato gioco degli equilibri. Pronto però a rilanciare già subito dopo Capodanno, per esempio sull’estensione del green pass. La ragionevole consapevolezza che nulla in questa fase di scelte importanti abbia attinenza con quelle che da qui a pochi giorni si faranno su altri tavoli, non deve però lasciare adito all'ambiguità di chi invece mette tutto dentro allo stesso pentolone: la lotta alla pandemia, la tutela di un Paese in evidente ripresa, la corsa al Quirinale e l'effetto domino sulla serrata stagione elettorale ormai alle porte.

Di Draghi il Bel Paese dei marrani della politica ne ha solo uno. Forse due, ma l'altro, quello senza la maiuscola iniziale, con elegante e sobria fermezza sta respingendo la corte sfrenata di chi lo vorrebbe ancora lassù sul Colle più alto a raddoppiare un mandato iniziato silente e concluso nell'apoteosi del consenso. E lo ribadirà stasera a reti unificate. Detto che di Draghi non sarebbe stato male averne almeno tre – come la bella Daenerys all'inseguimento del Trono di Spade - resta da capire su quale italico trono accomodare l'unico esemplare. Portarlo al Quirinale per garantire l'Italia agli occhi del mondo e intanto mollare le briglie agli scalpitanti partiti oggi accucciati alla sua ombra? O lasciarlo a Palazzo Chigi almeno fino a fine legislatura, relegando alla corsa al dopo Mattarella i giochetti di riassetto con vista sulle urne? Certo, l'auspicabile ritorno al primato della Politica lascerebbe guardare alla prima opzione con illusoria speranza. Ma siamo certi che i tempi siano già maturi? Sta arrivando una vagonata di miliardi, il treno del Pnrr deve viaggiare spedito e trasparente, credibile ed efficace. La figura del capotreno è tutt'altro che secondaria. Siamo certi che il compito del «nonno al servizio del Paese» possa già considerarsi esaurito? Dubitiamo.

Una Regione, tante ragioni

Così come dubitiamo fortemente che il cincischiamento partitico attualmente in corso alle nostre latitudini sia oggi in grado di delineare uno scenario chiaro e definito in vista delle tornate elettorali a noi più prossime. Nel 2022 saremo chiamati a scegliere il nuovo presidente della Regione e numerosi sindaci, primo fra tutti quello di Palermo. Temporalmente, il (certo) dopo Orlando precederà il dopo (se dopo sarà) Musumeci. Ma le due evoluzioni viaggiano concatenate. Ed è ancora la fase della muscolare prova di forza di ogni singolo partito e partiticchio, pronto a lucidare l'argenteria e a posizionarla su tavolo delle trattative. Lo avevamo definito clima da suk elettorale qualche settimana fa. Ci siamo ancora dentro. Ma c'è tempo.

A Musumeci va riconosciuta la capacità di aver ridato stabilità e linearità al governo dell'Isola. Cosa tutt'altro che scontata, dopo i frizzi e lazzi del turbolento quinquennio crocettiano. Al bisogno della transizione vanno però ora fatte seguire le ragioni della definizione e della concretizzazione. E non che oggi fra giunta e Ars si stia lavorando a un unico monolite. Lo hanno accusato di low profile amministrativo, lo accusano di scarsa predisposizione al confronto con le segreterie. Le due cose non devono necessariamente rappresentare un vulnus. Anche se un improvviso innalzamento/inasprimento dei toni negli ultimi mesi e una sorta di outing di fine anno sul dialogo carente farebbero pensare a una strategica correzione di rotta. E però ad oggi Musumeci rimane l'unico candidato credibile in mano a uno sfilacciato centrodestra alla ricerca di una difficile sintesi. A meno che il cenone in casa Miccichè non porti il fratello minore della ruspante trincea politica ad abbattere le robuste resistenze del fratello maggiore delle rigorose stanze dell'alta finanza. Improbabile di sicuro. Ma anche impossibile? Sull'altro fronte invece l'impressione è che non si sia ancora neanche apparecchiata la tavola.

Il crepuscolo dell’orlandismo

Stessa impressione che del resto traspare dalle parti di Palazzo delle Aquile. Il vuoto del dopo Orlando è politico perfino più che amministrativo. La storia è sempre la stessa da decenni: un centrosinistra che si è sempre accomodato impigrito e sonnecchiante al fianco del sempiterno sindaco, prima ancora che chiamarlo al proprio, non appare neanche oggi in grado di esprimere leadership politiche capaci di accendere la fiamma del consenso. E non è che lo stesso Orlando si stia sbattendo più di tanto per metterci del suo. Preso com'è peraltro dalla necessità di portare a termine senza troppi ulteriori danni un crepuscolare mandato o ciò che ormai ne rimane. D'altro canto, gli avversari non stanno meglio, con un M5S chiamato a sopravvivere a se stesso, un'area larga renziana senza ancora un imprinting di chiara identità politica e un centrodestra che tira fuori dal sacco nomi a ripetizione, che neanche i numerini della tombola.

La speranza della normalità

Sarà insomma un 2022 ricco di cambiamenti. Ci piacerebbe dire tutto da vivere. Se non fosse che anche l'anno che verrà dovremo affrontarlo con la cautela e l'approccio responsabile che la situazione planetaria ancora impongono. Anche a chi è chiamato a scegliere per il bene di tutti. Senza dover per forza accontentare tutti. Nella speranza che l'anno III d.C. (dopo Covid) sia anche l'ultimo di questa drammatica era. Per aprirne subito un'altra. Speriamo migliore. Ci basterebbe normale.

 

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