Dunque il sipario sul primo atto del "balletto dei tre colori", così titolavamo ieri in prima pagina anticipando le scelte in divenire, è calato alle 17.58, con il comunicato della Regione che manda agli archivi le tre settimane di serrata massima – almeno sulla carta – a Palermo. Che fino a ieri era rossa. Da oggi è arancione. E domani potrebbe essere annunciata gialla come tutto il resto della Sicilia. Il balletto continua, insomma. Un po' disorientante, un po' illusorio, un po' pericoloso.
È vero che non c'è più regione in Italia che nelle ultime due settimane certifichi una risalita della curva pandemica. Ma che cosa vuol dire questo? Che si può finalmente uscire dal cono d'ombra, prenotare un tavolo (all'aperto) al ristorante, organizzare le vacanze fuori porta e cominciare a spingere sull'ora del coprifuoco per riconquistare gli spazi della movida, come vorrebbe il fronte politico-economico degli aperturisti? Oppure dovremo aspettarci una nuova recrudescenza dei contagi a filtrare fra le maglie allargate dei divieti, come invece temono molti ortodossi della prudenza, siano essi sanitari (tutti i siti rilanciano l'allarme del mai rassicurante microbiologo Andrea Crisanti) o statistici (basta leggere la nostra intervista di ieri al matematico del Cnr Giovanni Sebastiani).
È chiaro che, come sempre, in medio stat virtus. Se controllare una zona rossa è arduo, vigilare efficacemente su una arancione o ancor di più gialla è impossibile. E dunque si ripiomba negli appelli al buonsenso e nei richiami alla consapevolezza. La Sicilia resta fra le prime 4-5 regioni d'Italia per nuovi contagi giornalieri, ma ha comunque una pressione ospedaliera – pur se non equamente distribuita – ancora sostenibile e tutto sommato non risparmia sui tamponi. Ha però d'altro canto anche una tenuta del tessuto economico già atavicamente meno salda del resto dello Stivale e dunque patisce più di altri blocchi e proibizioni. Non a caso le pressioni delle organizzazioni di categoria ieri hanno assunto un peso determinante nella scelta di Musumeci di riallineare Palermo con tutta la Sicilia, riducendo la macchia rossa dei lockdown comunali sparsa sulla mappa dell’Isola.
Ciò significa però che proprio i rappresentanti delle categorie produttive devono ora assumersi l'onere di non sbracare. E dunque ci aspettiamo rigore, ingressi contingentati, distanziamenti, mascherine, sanificazioni continue e tutto ciò che sarà necessario – anzi indispensabile – per non vanificare mesi di restrizioni e frustrazioni. Passare da vittime acclarate a complici potenziali è un soffio.
Siccome il Covid lo si affronta ma non lo si sconfigge di certo con un metro in più o in meno di distanziamento, eccoci al tasto dolente delle vaccinazioni. E alla storiella della psicosi di massa che si sta trasformando in una foglia di fico con cui tentare maldestramente di coprire chiare ed acclarate inefficienze. Che potevano essere fisiologicamente giustificabili fino ad alcune settimane fa. Ma che a quattro mesi abbondanti dall'avvio della campagna travalicano ben oltre la soglia dell'intollerabilità. In una Sicilia che non si schioda dal penultimo posto – dietro la sola disastrata Calabria - per percentuali di somministrazioni (e dunque di dosi disponibili ma inutilizzate), si cerca di dare una sferzata al ritmo. Ma senza apparente costrutto. Mancano ancora molti over 80 all'appello? Inutile pregarli a farsi vivi con le facce contrite nelle dirette via social: la maggior parte di loro, a occhio e croce, non può muoversi da casa e i social non sa neanche che cosa siano.
Eppure le vaccinazioni a domicilio non decollano e delle chiamate alle armi dei medici di famiglia non si vedono risultati. Mentre alla psicosi delle masse si risponde con una psicosi gestionale. Per tentare di smaltire le riserve - AstraZeneca e non solo - si allargano le maglie, si prorogano gli open days, si abbatte il muro delle prenotazioni. Il risultato si è visto per esempio ieri mattina alla ex Fiera di Palermo, in quel famigerato Padiglione 20 assurto a paradigma del grande caos dell'immunizzazione: tutti insieme appassionatamente, prenotati e non, con o senza orario indicato, prime e seconde dosi, fragili e disabili, over 60 e 70 e 80. File infinite, per poi sgomitare davanti all'unica porta d'ingresso, dove un paio di volontari si sgolano senza neanche lo straccio di un megafono per snocciolare lentamente i numerini delle chiamate. Per arrivare ai due secondi netti di quella benedetta siringa nel braccio, bisogna accollarsi una media superiore alle due ore di snervante attesa. E non sono certo baldanzosi trentenni o quarantenni in piena salute, i protagonisti di questo melodramma, stancamente e sofferentemente accodati prima e confusamente ammassati poi. Roba che gli appelli contro gli incoscienti fra i palermitani, colpevoli di una strage infinita, l'esasperato sindaco Orlando dovrebbe pronunciarli anche al cospetto di chi ha messo in piedi quel Circo Barnum delle vaccinazioni e non soltanto con le statue di piazza Pretoria sullo sfondo, giù dal balcone municipale. Perché se è vero che c'è chi "si" assembra per spassarsela, è anche vero che c'è chi "ci" assembra per vaccinarci. E così non funziona. Proprio non funziona.
Mentre si annunciano ipotetici nuovi hub qua e là e si fantastica su improbabili aperture notturne, organizzare meglio la rete più che estenderla basterebbe e avanzerebbe. Checchè ne dica chi - per contratto e ruolo – da sempre si affanna a negare l'evidenza.
E a proposito di evidenze, nei giorni dei toni trionfalisti sulle fantasmagorie da Recovery, siamo voluti tornare a riaccendere le luci su quanto si sta concretamente facendo per non continuare a sovrapporre l'implosione economica alla tragedia sanitaria. Dai fondi europei a quelli nazionali, dai prestiti Bei alle manovre regionali, dai poveri alla famiglie, dalle aziende alle partite Iva, dall'agricoltura al turismo, con Giacinto Pipitone (tutti i dettagli sul Giornale di Sicilia in edicola a pagina 9) oggi facciamo il punto generale, oltre il virtuale (più che il virtuosismo) degli annunci, anche per capire quanto davvero si sia avanti in questo lungo e laborioso processo. L'impressione generale? La via è tracciata. Solo che ancora si fatica ad accendere i motori per cominciare a percorrerla.
Nei bollettini della Protezione civile si contano le persone morte (ieri superata la soglia dei 120 mila in tutta Italia). Ma forse bisognerebbe cominciare a contare anche le aziende morte. Per, in entrambi i casi, provare a salvare e dare un futuro a chi resiste strenuamente in vita. Un anno e mezzo dopo l'inizio del più grande e insoluto incubo del ventunesimo secolo.
Caricamento commenti
Commenta la notizia