Chi fermerà Salvini? Chi stopperà il crescendo rossiniano delle sue esternazioni? Quel mix di interventismo e propagandismo, che per qualcuno spazzola via la polvere del buonismo ipocrita dalla vecchia e oppressa crosta (o costa, fate voi) italiana e per qualcun altro sdogana le represse intolleranze nascoste nelle pance più o meno sazie e molli del Paese. Fin dove insomma si potrà spingere l’azione popolare/populista del ministro degli Interni, protagonista assoluto – un vero one man show – di questi primi vagiti del nuovo governo gialloverde?
In realtà, noi preferiremmo riflettere anche su un altro interrogativo. Chi si rifugia dietro Salvini? Chi resta, timido e opportunista, ben nascosto all’ombra dell’ingombrante sagoma del capopopolo leghista? Insomma, a chi «conviene» Salvini? Perché, al netto di qualche comparsata ultra-confine di Conte e di qualche esternazione strappa-applausi di Di Maio davanti a organizzazioni datoriali e brigate sindacalizzate, siamo ancora in attesa di segnali concreti e tangibili del nuovo esecutivo. In materia di politica interna ed economica, infrastrutturale e sociale, culturale e scolastica, ambientale e sanitaria.
E invece ci muoviamo ancora nel vuoto cosmico di una inoperosità evidente, che finisce per amplificare le più o meno condivisibili esternazioni di Salvini. Il quale, secondo una certa corrente d’analisi, starebbe creando non poche fastidiose orticarie - sia in termini di contenuti che di consensi - nel fronte progressista dei pentastellati. Ma proprio loro, non dimentichiamolo, hanno fortemente voluto questa alleanza.
Dunque vietato fare adesso le verginelle, sorprese e spiazzate. Perchè delle due l’una: o non avevano idea di chi fosse Salvini e cosa fosse la Lega, oppure lo sapevano benissimo. Nel primo caso, saremmo davanti a un pacchiano e imperdonabile errore di valutazione (non di ingenuità, chi può mai crederci, vivaddio) sideralmente più grave del «congiunto del presidente» secondo Conte o del «questo personaggio» secondo la Raggi, poveri immemori di chi siano Piersanti Mattarella e Giorgio Almirante.
Un errore che acclarerebbe ineludibilmente l’incapacità di discernimento politico da parte di un movimento che ha la pretesa (sostenuta dal consenso, per la verità oggi già più tiepido) di abbandonare la piazza per salire nei palazzi. Nel secondo caso, invece, siamo al più machiavellico dei rischi calcolati. Una sorta di paravento dietro cui nascondere le proprie timidezze e le proprie inesperienze, nella speranza che le quintalate di inchiostro salviniano sui giornali possano non farle scambiare per incapacità e inefficienza. Qualcuno all’interno del movimento se n’è accorto.
Qui in Sicilia i Cinquestelle si spaccano e provano a operare i primi distinguo, anche se è fin troppo facile dirlo dove la Lega conta quanto il due di briscola. Che riscontro e tenuta avranno i loro malumori lungo la lotta Sicilia-Mezzogiorno (feudo pentastellato)-Roma? Nel frattempo Salvini vede crescere il suo consenso (gli ultimi sondaggi danno Lega e M5S ormai appaiati), cavalcando il disagio delle masse. Quelle masse che non ne possono più di immigrati o donne rom con neonati in braccio a lavare vetri (i primi) o mendicare (le seconde) ai semafori. Grezza e approssimativa semplificazione? Certo che sì. Ma lo è anche quella di chi, in nome di un maldestro senso di solidarietà e cosmopolitismo, volta le spalle ad anni di nefandezze e speculazioni, fra politica supina alle inedie europee, business dell’accoglienza, centri-lager, campi nomadi come immondezzai, integrazione fasulla, reclutamenti perversi da parte di caporali e criminali.
Troppo facile esultare ed applaudire quando un blocco di migranti o nomadi in cerca di approdi migliori tocca il nostro patrio suolo, se poi non ci si occupa o scandalizza della incerta sorte che li attende già dall’indomani, sol perché l’Italia è stata finora lasciata sola, drammaticamente e sciaguratamente sola, nella gestione di questi flussi. Per mare e per terra. Certo, un ministro degli Interni dovrebbe affrontare il problema per le vie istituzionali e diplomatiche e non brandirlo come un’alabarda in un’arena medievale. Deve gestire le folle, non incendiarle pericolosamente.
In un Paese che ancora si lecca certe brutte ferite antisemite di 80 anni fa e che ha di suo una tradizione ultramillenaria magari non multirazziale ma di certo multiculturale. Salvini però questo è oggi, perchè questo era ieri. Ha degli alleati al governo, che lo hanno a lungo corteggiato. Impreparati forse. Correi certamente. Fino a prova contraria.
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