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Come candidarsi ad elettore senza farsi male

Aldo Sarullo

Con questo articolo, inizia la collaborazione Aldo Sarullo, scrittore e regista palermitano. Vincitore di premi letterari, interviene con le sue molteplici chiavi di scrittura indagatrici o satiriche e sempre, da intellettuale qual è, a titolo personale. Emigrato come tanti, vive a Roma.

 

È un abbaglio pensare che, schierati i candidati alla Presidenza della Regione, si debba soltanto aspettare il cinque novembre. Il difficile viene ora e riguarda quattro milioni e mezzo di persone. Infatti, se elettori si nasce perché lo dice la democrazia, in verità non tutti si preparano ad esserlo.

Di solito si va alle urne di stomaco, in base al «mi piace» o «non mi piace» o in base a vecchie appartenenze o a vecchi odii. Poi, i più trascorrono i successivi cinque anni a recriminare. In questa Sicilia, considerata un po' per storia e un po' per vanteria laboratorio politico, possiamo quindi provare la novità di un nuovo tipo di candidatura: quella ad elettore.

E studiare per divenirlo può essere persino divertente. Vediamo, anche con l'aiuto di qualche Maestro. Punto primo: i limiti della democrazia. I saggi di ogni tempo affermano che «la democrazia è la peggior forma di governo ad eccezione di tutte le altre forme». È dura, ma sappiamo che poiché gli uomini non si fidano gli uni degli altri, si affidano ai numeri. Chi è di più governa. E il filosofo e matematico francese del '600 Blaise Pascal, a proposito di democrazia ci fulmina con questo pensiero: «Non essendosi potuto fare in modo che quel che è giusto fosse forte, si è fatto in modo che quel che è forte fosse giusto». Vengono i brividi e ci assale il primo sussulto di senso di responsabilità: devo fare tutto ciò che è in mio potere perché giusto e forte coincidano.

Secondo punto: i limiti del vento della Storia. Accade che si creino tendenze e ciò chiamiamo «opinione pubblica diffusa». Si tratta del pensiero dei molti, di come questi giudicano un fatto e di conseguenza si relazionano con esso. E, grazie all’articolo 21 della nostra Carta costituzionale, «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

Questo è il problema: «il proprio pensiero». Qual è il mio? Come si è formato? Con quali fonti? Con quale mia attitudine a comprendere le dinamiche di un fatto? Con quale veridicità di informazioni? La Storia non ce l’ha insegnato? Quindi, quante scelte compiute in nome di un’Opinione pubblica mal formata, spesso da chi in mala fede l’ha manipolata, ci ritroviamo ad avere subito e a subire?

Ci insegna Giovanni Falcone: «Spesso capita che se la realtà non è quale la si desidera o quale la si pensa, è la realtà che è sbagliata e non siamo noi». Ecco perché ci assale il secondo sussulto di responsabilità: devo avere l'accortezza di scegliere con metodo denso di zelo, di dubbi e scartare i salti nel buio poiché una legislatura non è un'anguria da provare ed eventualmente buttare. Dura cinque anni.

Terzo punto: la scelta del presidente. È la più significativa poiché condiziona il futuro dell'Isola. E noi abbiamo in mano quei cinque minuti nel seggio che durano cinque anni. Servono tante accortezze nella scelta. Ascoltiamo, per iniziare, il filosofo e politico inglese del '700 Edmund Burke, di recente agli onori della stampa: «Il vostro rappresentante vi deve non soltanto la sua attività, ma anche il suo discernimento: ed egli vi tradisce invece di servirvi, se sacrifica quest'ultimo alla vostra opinione».

Ecco, il discernimento, cioè sapere e capire. E non assecondare per sedurre, per ricevere il voto. La legislatura non è un fidanzamento d'amore passeggero, ma di interesse, affinché chi governa mi dia il miglior frutto anche se io non so nei particolari qual è. L'altro sì, il presidente sì, deve sapere e conoscere. Deve discernere. Ecco il terzo sussulto di senso di responsabilità: come faccio, a mia volta, io cittadino a discernere il miglior candidato alla presidenza?

Eh, devo darmi dei parametri: a) la maturità istituzionale. Infatti la guida di una regione non equivale a quella di una comitiva in gita o a un corteo di protesta. Spesso richiede silenzi e solitudine, e sempre richiede fedeltà al senso proprio dell'istituzione; b) la scienza di governo. Quello di presidente non è un «mestiere» da imparare strada facendo, ma una funzione in cui riversare ciò che nel tempo si è avuto modo e intelligenza di acquisire. Ecco perché, da sempre, il potere apicale è stato affidato a capi già istituzionalmente formati e che dovevano soltanto dare. Infine: c) l'intimo possesso del programma.

Noi cittadini che abbiamo l'ambizione di candidarci ad elettori benefici dobbiamo scrutare il più possibile nel profondo i candidati alla presidenza per coglierne la coincidenza del loro patrimonio identitario con le loro promesse elettorali. Si sa che queste spesso non vengono mantenute. Mala fede? Cattiva volontà? Sopraggiunta impossibilità? O per incapacità? A noi elettori è dato di prevenire in maggior misura soltanto l'ultima, l'incapacità. Ma a condizione di volercene accorgere, con freddezza da analisti. A condizione di volere «vedere». E qui l'immancabile Shakespeare, quando afferma per bocca di Re Lear: «Che epoca terribile quella in cui gli stolti governano i ciechi».

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