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Pubblico impiego, in piazza per il rinnovo dei contratti: c’è siccità, aumentiamo l’acqua

Anni di aumenti «a prescindere» hanno inoculato nel corpo della amministrazione pubblica il virus della rivendicazione fuori da vincoli

Sindacati di nuovo in piazza ieri a Roma. Si dichiarano pronti allo sciopero se il governo non rinnova i contratti pubblici fermi dal 2010. I magistrati della Corte dei Conti osservano che le spese per il personale pubblico hanno avuto, a causa del blocco, una diminuzione del 4,6% nell’ultimo triennio.

Va detto però che, per esempio, nel comparto delle regioni e delle autonomie locali, la retribuzione pro-capite nel decennio precedente fino al 2009 era cresciuta del 44%. Davanti a numeri come questi e tenendo conto delle gravi difficoltà nelle quali si dibatte la finanza pubblica, l'approccio del sindacato dovrebbe essere più propenso a garantire responsabilità e non piuttosto a chiedere l’acqua quando non piove. Ma anni di aumenti «a prescindere» hanno inoculato nel corpo dell'amministrazione pubblica un virus difficilmente debellabile, quello della rivendicazione fuori da ogni vincolo.

Sui dipendenti pubblici si potrebbe dire di tutto e di più; rappresentano un guazzabuglio retributivo con profonde ed ingiustificate differenziazioni; sono il più delle volte male assortiti e peggio utilizzati. Certo ciascuna categoria avrebbe argomenti per sostenere le proprie retribuzioni, ma la gente comune fatica a sentire il presidente della Camera Boldrini parlare di personale molto qualificato e «che lavora senza guardare l'orologio», specie se queste innegabili virtù legittimano stipendi galattici.

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