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Non si vuole crescere in Sicilia:
beni culturali mal gestiti

Il caso del sindaco di Mazara che offre il proprio personale per garantire l’apertura del sito che ospita il Satiro Danzante. Occorre una gestione di tipo privatistico nella quale i ricavi riescano a superare i costi. Necessario un portale Internet

Non si vuole crescere. Da decenni si blatera di turismo e beni culturali come di un potente ed indiscusso fattore di crescita. Ma i comportamenti vanno in direzione del tutto opposta. «A Pompei seconda mattina di assemblea e ancora turisti davanti ai cancelli chiusi. Un danno incalcolabile per l’immagine dell’Italia intera»: così il ministro per i Beni culturali e il Turismo esprimeva ieri su Twitter la propria rabbia contro il blocco degli ingressi a causa delle agitazioni sindacali.

Per due giorni di seguito 3.300 turisti sono rimasti esclusi dalla fruizione di un bene culturale (che non ha pari al mondo) perché il personale non ha trovato di meglio che chiudersi in assemblea durante l'orario di visita. A chi può interessare che siano andati persi 40 mila euro di incasso? A chi può interessare il danno di immagine?

Dalla Campania alla Sicilia il passo è breve. È di ieri la notizia che a Palermo i lavoratori addetti ai punti informazione turistica hanno «garbatamente declinato» l'invito a lavorare anche nel pomeriggio, preferendo limitare il proprio impegno alla sola mattina. È di pochi giorni fa la proposta del sindaco di Mazara del Vallo che offre il proprio personale per garantire l'apertura del sito che ospita il Satiro Danzante, stante l'incapacità di 25 dipendenti regionali di garantire la fruizione giornaliera di uno spazio di appena 200 metri quadrati.

È l'immagine di un Paese in disgregazione che impone le utilità di pochi all'interesse generale e che trova facile sostegno in un sindacato obsoleto ed in una politica complice. Dalla Campania alla Sicilia si affermano leggi ed accordi maturati nei sottoscala del consenso, infliggendo al Paese un onere insopportabile. L'assenza di responsabilità, il vuoto di quell'etica del lavoro che non si riconosce solo nei toni della rivendicazione, la proterva difesa ad ogni costo del più minuscolo privilegio, sono tutte facce della stessa moneta: non si vuole crescere. E l'impeto rabbioso con il quale sindacalisti d'antan e politici in doppio petto contrastano la riforma del mercato del lavoro all'esame del Parlamento italiano, poggia sulla presunta tutela dei lavoratori, guardandosi bene però dal chiarire che si sta contrastando l'ultimo tentativo di avvicinarci alle economie occidentali.

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