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Dare risposte a un Paese in ginocchio

Per ora sono esplosi i mortaretti di Capodanno. I confronti seri partiranno la settimana prossima e li gestiranno in prima persona Renzi, Letta e Alfano. Non c’è tempo infatti, per negoziati estenuanti come quelli che all’inizio degli anni ’70 portarono alla fine della guerra del Vietnam. Henry Kissinger e il negoziatore nordvietnamita Le Duc Tho si trovavano entrambi a Parigi, ma non si incontrarono per un lungo periodo. Un mediatore usciva dalla stanza dell’uno per entrare in quella dell’altro. Passò così più di un anno prima che si raggiungesse l’accordo.
I nostri tre «bravi ragazzi» hanno invece davanti a loro soltanto qualche settimana per dare risposte a un paese in ginocchio. C’è bisogno di celerità, come quella con cui Renzi si è mosso sulla legge elettorale, ma anche di realismo. Se fra le tre proposte del segretario del Pd c’è il sistema dell’elezione diretta dei sindaci e ad Alfano sta bene perché dirgli di no?
È vero che le riforme di sistema devono allargarsi il più possibile, ma sarebbe complicato preferire un oppositore a un alleato. Renzi farebbe bene inoltre a guardare in controluce le mosse di Berlusconi. È vero che alla pancia del Cavaliere piacerebbe un sistema che spazzi via le forze intermedie e lasci a terra Alfano, ma è anche vero che il cervello del Cavaliere ha interesse a mantenere buoni rapporti con il suo ex delfino che tornerà suo alleato alle prossime elezioni politiche, in qualunque momento dovessero celebrarsi.
I due si sono scambiati gli auguri sia a Natale che all’inizio del nuovo anno e i «falchi» di Forza Italia stanno perdendo terreno in favore di figure più moderate. Tra l’altro il sistema dei sindaci porterebbe (finalmente) all’elezione diretta del primo ministro: soluzione da «paese normale» che Berlusconi ha sempre (invano) perseguito.
Sarebbe utile che l’accordo sulla nuova legge elettorale fosse accompagnato da analoga intesa politica sulla riforma delle Camere: se il Senato fosse (come sarà) fortemente ridimensionato nel numero dei membri e nelle funzioni, è bene che la legge elettorale ne tenga conto. Anche qui: Renzi valuti se insistere su un senato di amministratori locali che darebbe una sicura maggioranza alla sinistra,se in cambio Alfano riducesse – poniamo – da duecento a cento, come negli Stati Uniti, il numero di senatori eletti, portando magari da 300 a 400 il numero dei deputati. Il numero complessivo dei parlamentari sarebbe comunque dimezzato e il processo legislativo acquisterebbe una indiscutibile velocità.
Alfano dovrebbe manifestare una certa flessibilità in favore della riforma del lavoro proposta da Renzi (e giudicata troppo debole dall’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi del Ncd). La caduta di un tabù come l’articolo 18, sia pure per contratti triennali (o magari quinquennali) a tempo indeterminato vale molto. E non è detto che non possa essere coordinata con la contrattazione aziendale cara al centrodestra.
Renzi a sua volta faccia in modo che il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali venga gestito in modo da incontrare un consenso largo, senza uno schiaffo troppo forte al mondo cattolico.
È vero, come hanno ricordato ieri alcuni senatori del Pd, che la legge sul divorzio fu approvata da un’alleanza trasversale che escluse la Dc, partito di maggioranza. Ma conviene a Renzi, il più prudente dei suoi su questo tema, conviene superare certe colonne d’Ercole?

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